Sulle pensioni a quota 103 del 2023-2024 le indicazioni dell’Inps nell’ultima circolare dei giorni scorsi, confermano la possibilità di rimandare l’uscita dal lavoro beneficiando del bonus sui contributi a carico del lavoratore alle dipendenze, ma anche l’integrazione con il taglio del cuneo fiscale. Quest’ultimo beneficio, tuttavia, non è previsto per stipendi di importo elevato. Tuttavia, anche una pensione da quota 103 di importo superiore ai 2.800 euro lordi al mese è soggetta a un tetto massimo, come indicato dall’Istituto di previdenza durante il primo anno di sperimentazione della misura di pensione anticipata.

La scelta di andare in pensione con la quota 103, che con tutta probabilità sarà confermata anche nel 2024, necessita pertanto di un’attenta valutazione, anche in prospettiva della conferma del taglio del cuneo fiscale, nel caso in cui si dovesse decidere di rimandare il prepensionamento anche se si hanno i 62 anni di età e i 41 anni di contributi richiesti.

Pensioni quota 103 nel 2024 senza taglio cuneo fiscale: quale convenienza e importo massimo mensile

Decidere di andare in pensione o meno con la quota 103 avendone i requisiti comporterà, anche nel 2024, un’attenta valutazione, soprattutto in termini monetari. L’alternativa, per chi nel 2024 (ma anche nel 2023) maturerà i requisiti richiesti, è rimanere a lavoro e rimandare il prepensionamento, eventualmente scegliendo anche di fruire del bonus “Maroni”, ovvero dello sconto dei contributi a proprio carico (pari al 9,19%) che finiscono in busta paga per aumentare lo stipendio netto di fine mese.

Il lavoratore, tuttavia, non recupera questa quota dei contributi, come avviene nel caso del taglio del cuneo fiscale, in vigore nel 2023. Il bonus contributivo sugli stipendi è in vigore nel 2023 con percentuali del 6% per i redditi fino a 35mila euro all’anno e del 7% per quelli fino a 25mila euro.

Pensioni quota 103, taglio cuneo fiscale non dovuto per chi supera i 35mila euro

Al di sopra di 35mila euro di redditi all’anno, pari a 2.692 euro lordi al mese, il lavoratore dipendente non ha diritto al taglio del cuneo fiscale. È questa una delle situazioni più ricorrenti che possono verificarsi e che vanno a delimitare la convenienza della pensione con quota 103. Infatti, il lavoratore che abbia uno stipendio lordo, ad esempio, di 3.700 euro mensili, non ha diritto al taglio dei contributi a proprio carico, ragione per la quale, se dovesse decidere di continuare a lavorare e di beneficiare dell’incentivo sui contributi a proprio carico (non del taglio del cuneo fiscale), ne subirebbe gli effetti sulla futura pensione.

Nel dettaglio, i contributi del taglio del cuneo fiscale (al quale il lavoratore con stipendio al di sopra dei 2.692 euro lordi mensili non ha diritto) vengono recuperati grazie alle risorse dello Stato. Ciò non avviene per l’incentivo di quota 103 che non viene recuperato nel monte dei versamenti all’Inps ma rimane in busta paga al lavoratore come aumento di stipendio.

Più è lungo il periodo nel quale il lavoratore con i requisiti di quota 103 decida di non andare in pensione e di beneficiare dell’incentivo dei contributi in busta paga, e maggiore è la quota di contributi non versati che influenzeranno la futura pensione.

Importo massimo di pensione fissato a 5 volte il trattamento minimo Inps

A ciò si aggiunge la situazione nella quale i lavoratori dipendenti con stipendi alti (nel nostro esempio di 3.700 euro lordi al mese) subiscano la decurtazione della futura pensione per importi eccedenti i 2.839,70 euro, corrispondenti a 5 volte il trattamento minimo dell’Inps, pari a 567,94 euro nel 2023.

È verosimile che, per stipendi molto più alti di questo limite, l’uscita con la quota 103 comporti una futura pensione eccedente la suddetta soglia. In tal caso il lavoratore, anticipando la pensione con quota 103, rinuncerebbe a una parte del trattamento dell’Inps (l’eccedenza dai 2.839,70 euro) fino alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.