24 anni e 6 mesi: è questa la condanna inflitta in primo grado ad Alberto Scagni, il 42enne finito a processo per l’omicidio della sorella Alice, consumatosi a Quinto (Genova) il primo maggio 2022. La Procura lo aveva definito totalmente capace di intendere e di volere, contestandogli tre aggravanti e chiedendo che fosse condannato all’ergastolo. Per la Corte d’Assise, presieduta da Massimo Cusatti, l’uomo sarebbe invece seminfermo di mente e non meriterebbe quindi il massimo della pena.
Omicidio Alice Scagni, condanna a 24 anni e 6 mesi per il fratello Alberto
Nel corso dell’udienza tenutasi ieri in Tribunale, il sostituto processuale del legale che lo difende (Mirko Bettoli), l’avvocato Alberto Caselli Lapeschi, aveva messo in evidenza la necessità di riconoscere all’imputato il vizio parziale di mente. Dalla perizia effettuata dallo psichiatra Elvezio Pirfo in sede di udienza preliminare era infatti emerso che Scagni sarebbe affetto da un grave disturbo della personalità e che quindi, al momento dei fatti, non era propriamente capace di intendere e di volere.
L’obiettivo della difesa era ottenere uno sconto di pena rispetto a quella chiesta dall’accusa, l’ergastolo. Per questo Caselli aveva puntato anche sull’insussistenza delle tre aggravanti contestate al 42enne: quella del mezzo insidioso (per aver nascosto in un sacchetto di plastica l’arma del delitto), quella della crudeltà (per il numero di coltellate inflitte alla vittima, oltre 20) e quella della premeditazione (per essersi recato sotto casa della sorella già munito di coltello e aver aspettato che scendesse per lungo tempo, prima di colpirla).
La Corte d’Assise del tribunale di Genova ha fatto cadere le prime due, condannandolo a 24 anni e 6 mesi e riconoscendolo seminfermo di mente: motivo per cui, alla fine della pena, dovrà essere ricoverato in una Rems per almeno tre anni. Se lo aspettavano i genitori, che questa mattina, prima dell’udienza, avevano ipotizzato che la sentenza fosse “già scritta” e che loro figlio avrebbe pagato per tutte le persone coinvolte nella vicenda.
Le dichiarazioni dei genitori di Alice e Alberto in aula
Questo è stato un processo contro di noi, nel quale non si sono voluti ascoltare tutti i testimoni […]. In questa vicenda abbiamo visto periti che hanno lavorato con scienza e coscienza, altri manovrati e per convenienza. Si sta ricostruendo una verità parziale, non si sono volute ascoltare tutte le persone. E vogliamo dire una cosa, anche se può sembrare provocatoria: grazie giustizia italiana, grazie 112,
avevano dichiarato Graziano Scagni e Antonella Zarri facendo riferimento alle perizie discordanti emesse sullo stato mentale del figlio e al mancato intervento delle forze dell’ordine nonostante i ripetuti appelli della famiglia. Fin dall’inizio sostengono che la colpa non sia da imputare solo al 42enne: Alberto, continuano a ripetere, è malato e pericoloso. Più volte, prima dell’omicidio, ne avevano messo al corrente le autorità competenti, senza che loro intervenissero in alcun modo.
Sulla vicenda era stato anche aperto un apposito fascicolo d’inchiesta, chiusosi a luglio con l’archiviazione delle posizioni degli agenti e della dottoressa della Asl locale indagati per aver sottovalutato gli allarmi. L’ultimo dei quali proprio il primo maggio, quando Alberto, alla continua ricerca di soldi, aveva minacciato di fare del male a loro o alla sorella se non gli fosse stato accreditato il denaro che aveva chiesto sul conto corrente.
Dopo aver denunciato l’accaduto alla polizia, il padre aveva chiesto di inviare sotto casa della figlia una pattuglia, per sicurezza. Nessuno lo aveva ascoltato e Alice, uscita per accompagnare fuori il cane, era morta sotto gli occhi inermi del marito Gianluca, affacciato al balcone. Con lui due anni prima la donna aveva avuto un bambino.