In pensione con 35, 30 e 41 anni di contributi: come, quando e con quale rendita? Ci sono tante strade che permettono il pensionamento per il 2023 e molto probabilmente anche per il 2024. Il dilemma previdenziale si infittisce di novità. Negli ultimi giorni, sono state molte le richieste di maggiori chiarimenti sull’uscita dal lavoro. Molti sono interessati all’importo della rendita dopo 35, 40 e 41 anni di contributi, altri invece, lo sono sulle misure in scadenza al 31 dicembre 2023 e sui probabili rinnovi. Insomma, mentre il popolo italiano si interroga sui possibili effetti collaterali delle nuove proposte dell’INPS, il governo Meloni ha appena approvato la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, confermando la linea improntata sulla prudenza e realtà. Vediamo insieme come e quando ritirarsi dal lavoro con 35, 30 e 41 anni di contributi.
In pensione con 35, 30 e 41 anni di contributi
In questi mesi, la riforma Dini e la riforma Fornero sono ritornate al centro di diversi dibattiti, mantenendo l’attenzione alta sul futuro previdenziale degli italiani.
Pesano i tagli, o meglio la rigidità del sistema previdenziale voluto dalla Fornero, ma anche il sistema di calcolo introdotto dalla riforma Dini.
Essenzialmente la prima riforma ha inasprito il calcolo della pensione, attraverso la Legge 8 agosto 1995, n. 335 di “riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare“, denominata riforma Dini, ha introdotto il sistema di calcolo contributivo, disponendone la totale applicazione nei confronti di tutti gli assicurati a decorrere dal 1° gennaio 1996.
L’altra, invece, ha allontanato l’età pensionabile fino al tetto di 67 anni di età.
Per questi motivi, in molti si chiedono quali penalizzazioni sono previste per la pensione con 35, 30 e 41 anni di contributi, oltre alle variazioni apportate dal calcolo dell’assegno con il sistema contributivo, misto e retributivo. Alla base, la pensione viene calcolata tenendo conto di diversi fattori:
- montante contributivo;
- coefficiente applicato;
- età del pensionamento.
Restando più a lungo al lavoro, maggiore è l’età del lavoro e accumulando contributi aggiuntivi, si riduce ridotta l’aspettativa di vita e la rendita risulta essere maggiore.
Anticipare l’uscita con l’anticipo pensionistico Ape sociale, piuttosto che con Opzione donna, significa non maturare i fattori legate all’età e alla contribuzione prevista per la pensione di vecchiaia o altro trattamento ordinario.
Chi ha 30 anni di contributi può andare in pensione?
L’anticipo pensionistico Ape sociale permette di ritirarsi dal lavoro a 30 anni di contributi. Tuttavia, questo non è l’unico requisito da soddisfare per il diritto alla pensione. Infatti, è indispensabile aver compiuto un’età di 63 anni e la presenza di altre condizioni che limitano l’accesso al trattamento.
Lo scivolo pensionistico Ape sociale permette di anticipare l’uscita dal lavoro, a condizione che il lavoratore rientri nel regime di tutela previsto dalla normativa vigente.
Questo è il motivo principale per cui possono accedere al trattamento i disoccupati, coloro che si occupano dell‘assistenza di un familiare disabile ai sensi e per gli effetti della legge 104 e coloro a cui è stata certificata un’invalidità dal 74%.
Va detto che molti lavoratori gravosi rientrano nella casistica degli aventi diritto, a cui si richiede un accumulo contributivo di 32 o 36 anni di versamenti, in base alla categoria di lavoro a cui si appartiene.
La rendita dell’Ape sociale viene calcolata secondo il sistema misto e retributivo. L’importo massimo erogabile dall’INPS non supera il valore di 1.500 euro. Il trattamento viene riconosciuto per 12 mensilità e non prevede diversi diritti; infatti non è rivalutato, né integrato al trattamento minimo.
Il beneficio economico cessa in caso di decesso del titolare e non è reversibile ai superstiti.
I lavoratori che entro il 31 dicembre 2023 hanno perfezionato i requisiti per l’accesso al trattamento possono presentare la richiesta per il diritto alla pensione. Si tratta di una domanda preliminare in cui si richiede la verifica dei requisiti e delle condizioni disposte dalla normativa vigente. La richiesta dovrà essere presentata entro e non oltre il 30 novembre 2023.
Chi può andare in pensione con 35 anni di contributi?
La pensione anticipata donna permette di ritirarsi dal lavoro con 35 anni di contributi. Tra deroghe e modifiche, l’Opzione donna non è più un canale riservato per le lavoratrici, poichè possono accedere al trattamento coloro che hanno perfezionati entro il 31 dicembre 2022 diversi requisiti, tra cui:
- età anagrafica di almeno 60 anni, ridotta di un anno per ogni figlio nel limite massimo di due anni.
- che si occupano dell’assistenza di un familiare disabile ai sensi e per gli effetti dell’articolo 3, comma 3, Legge 104;
- cui è stata certificata un’invalidità dal 74%;
- licenziate o dipendenti da imprese per le quali è attivo un tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.
Tutt’ora, la misura resta una delle più penalizzanti per le donne. La media dell’INPS delle rendite liquidate risulta essere inferiore a mille euro mensile. Il calcolo dell’assegno completamente basati con il sistema contributivo riduce di molto l’assegno previdenziale.
Questo avviene perchè, nel calcolare la liquidazione della pensione non si tiene conto della contribuzione che ricade nel sistema misto o contributivo, ma l’intero montante contributivo viene considerato ai fini esclusivi del sistema contributivo.
Chi può andare in pensione con 41 anni di contributi?
Con la pensione Quota 41 precoci è possibile collocarsi in quiescenza con 41 anni di contributi, di cui almeno 35 effettivi. Tuttavia, questa condizione non basta per l’accesso alla pensione.
Infatti, occorre rientrare nei profili meritevoli di tutela, come ad esempio disoccupati, invalidi, caregiver o appartenere alle categorie di lavoro usuranti e gravosi. Infine, è necessario aver maturato 12 mesi di contribuzione prima dei 19 anni di età.
41 anni di contribuzione permettono di andare in pensione con Quota 103, se si compie 62 anni di età e si riceve un assegno di almeno 5 volte il trattamento minimo (2.840 euro al mese).