Cesare ha cinque anni ed è un piccolo guerriero. E’ malato di neurofibromatosi, una malattia rara che nella maggior parte dei casi dà solo problemi estetici, ma che invece lo ha colpito con quel 20% di possibilità di sviluppare altre patologie. All’età di un anno e mezzo Cesare perde la vista a causa di un glioma, un tumore delle vie ottiche: a distanza di oltre tre anni da allora, continua a combattere.
La sua è una storia di coraggio e di grande resilienza, che sua madre Valentina racconta da due anni sui social network e ora anche in un libro. Che si intitola proprio “La storia di Cesare. Scegliere a occhi chiusi la felicità”, uscito il 26 settembre 2023. Nelle sue pagine c’è tutta la famiglia: non solo il piccolo di casa, ma anche i suoi fratelli maggiori Alessandro e Teresa; il cane Joy, che è sempre con lui; il papà Federico.
“La storia di Cesare”, il libro scritto da mamma Valentina
Valentina, com’è nata l’idea di scrivere un libro sulla vostra storia?
“Quando ho aperto le pagine social io non sapevo cosa mi aspettasse. Il mio desiderio era di stare vicino a chi aveva situazioni simili alle mie: certo, non immaginavo di poter dare così tanto- perché le persone me lo dicono- ma neanche di ricevere altrettanto affetto e sostegno in cambio. Quindi l’idea del libro è nata proprio perché abbiamo visto come siamo riusciti a dare una spinta alle persone con i social, partendo proprio dalle cose più piccole fino alle più grandi: perché non c’è una scala sulla sofferenza, sui problemi che ognuno di noi deve affrontare ogni giorno.
Nel libro racconto anche cosa c’è anche dietro, rispetto solo al bello che mostro sui social. Come la vita mi ha portato a essere quella che sono adesso. Con le cadute che ho avuto: ci sono stati dei momenti in cui sono caduta pesantemente. E poi è l’occasione anche per parlare di quanto sia importante avere supporto psicologico. Bisogna avere la forza interiore di rialzarsi da soli, che troviamo dentro di noi; ma è necessario riuscire anche ad affidarsi agli altri, a chi ti sta vicino. Ci sono quindi tutta una serie di temi, oltre che la mia storia. Quello che sono stata prima di Cesare e della sua malattia, di come la vita mi abbia messa di fronte, fin da piccola, a dure prove; il senso che sto cercando di dare a questa vita, che continua a mandarmi sfide di un certo livello!”
Cos’è che ti spinge ad andare avanti?
Il motore che mi spinge sempre ad andare avanti è una frase, che per me è forte, però in cui trovo tanta verità: ossia ‘A tutto c’è un perché’. Quindi anche nelle cose più pesanti che mi sono successe, nella mia testa continua a ronzare: ‘Vale, a tutto c’è un perché, una soluzione la trovi. La trovi è sarà tutto più bello rispetto ad ora’. E questo anche nei momenti più tragici, quando sembra tutto finito: qualche mese fa ci avevano detto ‘Guardate, non sappiamo quante settimane di vita siano rimaste a Cesare.’ E noi siamo riusciti, in un momento di grande disperazione, a fare un quadro e donare 120mila euro alla pediatria di Pordenone. Questo perché, invece di stare lì a piangermi addosso, anche quando ne avrei avuto tutto il diritto, mi sono detta: ‘Se la vita mi sfida, ora la sfido anch’io.’ Ci sono dei momenti, o anche delle giornate intere, in cui mi butto giù: l’importante poi è ritrovare la forza di rialzarsi e di andare avanti.”
Molta di questa forza ve la dà proprio Cesare…
“Certo, quando hai un bambino che ti dimostra che quella è la strada giusta e che va bene così.”
Il libro è uscito il 26 settembre, la prima presentazione sarà a Conegliano il 30. Sono previste anche altre date, giusto?
“Sì, ho già una lista di date e abbiamo un bel po’ di cose da fare. Vediamo come andrà. Al momento l’ha letto mio fratello, lui è molto presente nel libro e quindi si è emozionato. E’ un bel segnale! Vediamo che ne penseranno gli altri. Speriamo che piaccia, che sia di aiuto e sostegno: è la storia vera di una famiglia che cerca una normalità che non arriva. Se mai sapessimo cosa significhi normalità!
Il racconto come antidoto alla solitudine
Le famiglie di persone con disabilità spesso si sentono abbandonate, sia dalle istituzioni che dalla comunità. Qual è stata la vostra esperienza?
“Tutte situazioni che abbiamo vissuto anche noi… Io sono sempre stata molto lontana dai social, da tutto ciò che mi portava via del tempo da dedicare ai miei figli. Non avevo voglia di raccontare niente di mio, né interesse nel controllare i fatti degli altri. Quello che poi mi ha spinto ad aprire la prima pagina su Facebook è stato proprio questo grande senso di solitudine che noi abbiamo provato i primi tempi, il primo anno e mezzo sia da parte della società che dalla comunità: la malattia spaventa, le persone reagiscono scappando e la burocrazia è lunga… Cose che non racconto nei social, ma che nel libro ci sono. Non le racconto sui social perché credo che lamentarsi, anche se ne hai tutto il diritto, non porta da nessuna parte e quindi non ha senso.
Quindi preferisco usare questo canale che mi sono creata per riportare le piccole conquiste che ci hanno permesso di fare qualcosa di bello. Non mi concentro su ciò che non va, ma su ciò che invece si può ottenere: come la scuola a casa per Cesare, ad esempio. Tanto le persone sanno, o possono immaginare, il lavoro che c’è dietro: c’è anche chi in realtà non lo capisce, ma non importa. Se io raccontassi tutte le fatiche che ho fatto, le persone si soffermerebbero solo sui lati negativi, perché è umano. Se invece io mostro gli obiettivi raggiunti, allora posso spronare anche gli altri. “
Qual è stato il momento più difficile vissuto finora e quale quello invece più felice?
“Il più difficile sicuramente a maggio, quando ci hanno detto che non sapevano Cesare quanto potesse ancora vivere. Giravamo con un foglio tra le mani in cui che, nel caso fosse arrivata l’ambulanza perché Cesare smetteva di respirare, non avrebbero dovuto rianimarlo. Perché non sarebbe stata una questione di polmoni, bensì cerebrale. Sono stati mesi difficili, pieni di pensieri, in cui ogni piccolo dettaglio poteva rappresentare un peggioramento. E poi, il momento più bello, chiaramente, due settimane fa quando abbiamo saputo che il tumore si era fermato. Siamo consapevoli che la guerra non è finita, ma semplicemente che la battaglia, a questo giro, l’abbiamo vinta noi. Dopo diverse battaglie andate male, in cui sembrava tutto finito, ora ci stiamo godendo questo momento.”
Su Instagram siete seguiti da oltre 280mila follower, una community che vi sostiene e festeggia con voi tutti i traguardi di ‘Cece’. Ci sono dei messaggi che ti hanno colpito in particolare e che custodisci nel cuore?
“C’è un filo conduttore nei messaggi che riceviamo: la forza che trasmettiamo e la speranza, anche nelle situazioni più difficili, che tutto possa risolversi. E poi l’amore che ci mettiamo, la sincerità, l’onestà, la fiducia che le persone hanno in quello che facciamo.”
Il progetto “Cesare per la stanza dell’ascolto”
State portando avanti da tempo il progetto ‘Cesare per la stanza dell’ascolto‘, uno sportello di ascolto psicologico per famiglie, tramite una raccolta fondi su GoFundMe, il cui target è stato abbondantemente superato…
“La raccolta andrà avanti fino a fine dicembre. Stiamo continuando a lavorare, anche quando io non pubblico non mi fermo mai! Siamo in tanti e stiamo lavorando affinché si riesca a fare qualcosa di bello. Questo progetto sta andando avanti da tre o quattro anni con le risorse a disposizione. Adesso, aspetteremo di concludere la raccolta, con i soldi che avremo faremo un planning per capire come e a chi dare questo servizio.”
Un modo nuovo di vedere il mondo grazie a Cesare
Dici spesso che Cesare vi ha dato un modo nuovo di vedere le cose, che vi ha stravolto la vita: ma cos’è che è effettivamente cambiato rispetto a prima?
“Io ho sempre programmato tutto: ad esempio dovevo sapere, già per tutto il mese, cosa mangiare, cosa fare… Con Cesare ho imparato a vivere all’ora, a volte al minuto: questo non per forza è una cosa negativa. Anzi! Dobbiamo veramente imparare a capire che oggi ci siamo e domani non lo sappiamo, e non deve diventare una consapevolezza triste. Deve essere un modo per dire: non rimandiamo, godiamoci i momenti, finché le abbiamo circondiamoci di persone che ci fanno stare bene, scegliamo chi vogliamo vicino, lottiamo per chi lo merita, usiamo bene il nostro tempo, perché non torna indietro.
E poi, anche il fatto di vedere solo con gli occhi… Con Cesare ho imparato a guardare anche con gli altri sensi. A volte vedere solo con gli occhi è un limite, usandoli tutti si scoprono sfaccettature e particolari. Cesare si accorge se la sua maestra si è tagliata i capelli, anche se non la vede da due mesi. Toccando le mani capisce se hai fatto la manicure. La mattina ti chiede: ‘Come stai? Hai dormito bene?’ E chi te lo chiede più ormai? Se indosso un nuovo anello lui lo capisce subito. Si accorge se è buio, perché lo sente dall’aria, che è cambiata, oppure se sta per arrivare la pioggia. La cecità ci trasmette tristezza, ma solo perché abbiamo la presunzione di pensare che la nostra vita sia migliore: ma chi l’ha detto? Noi a volte andiamo in alcuni posti che non ci trasmettono nulla, invece lui riesce a trovare un dettaglio che lo rende bello: il profumo, un’aroma di biscotti, la temperatura giusta. Invece noi, se non vediamo qualcosa di stratosferico, non siamo contenti. Io dico spesso: ‘Vorrei regalare 10 minuti di quello che provo io con Cesare, per far capire la figata.’ Tristezza è tutt’altro: tristezza sarebbe se il tumore me lo portasse via. Ma non perché non vede: e lo pensano anche gli altri miei figli.
Qualche giorno fa un’amichetta di mia figlia, una bambina di 6 anni, ha detto: ‘Peccato però che Cesare non ci vede!’ E lei l’ha guardata perplessa e ha risposto: ‘Lo dici tu che non ci vede! Perché con tutto il resto ci vede meglio di noi!’”