L’ultima decisione della Consulta sul caso Regeni potrebbe ribaltare completamente il processo ai danni dei quattro agenti dei servizi egiziani imputati per il sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio.

L’inchiesta, ora, può iniziare davvero, perché il giudizio nei confronti degli egiziani potrà celebrarsi anche in loro assenza.

Lo ha stabilito la stessa Corte Costituzionale, dichiarando illegittimo l’art. 420-bis, comma 3, del codice di procedura penale. Sotto la lente d’ingrandimento dei giudici la parte in cui prevede l’improcedibilità in caso di mancata notifica ai diretti interessati dal procedimento. In questo caso, però, non si può sapere se i soggetti in questione siano a conoscenza o meno del giudizio pendente nei loro confronti.

Potrebbe trattarsi dunque di un vero e proprio punto di svolta nel processo ai danni dei quattro membri delle forze di sicurezza egiziane. Si tratta del generale Sabir Tariq, i colonnelli Mohamed Athar Kamel e Helmy Uhsam e il maggiore Magdi Ibrahim Sharif: i presunti rapitori di Regeni, sequestrato al Cairo la sera del 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere il 3 febbraio successivo lungo la strada per Alessandria.

Processo Regeni, la decisione della Consulta dopo il parere del Gup: “L’Egitto sottrae i propri funzionari creando una ‘zona franca’”

Il giudizio nei loro confronti è fermo da due anni: l’Egitto si è messo di traverso non comunicando mai i loro recapiti. Per questo, prima la Corte d’assise di Roma e poi la Corte di cassazione avevano bloccato il processo.

L’ultimo ad esprimersi sul caso era stato il giudice per l’udienza preliminare Roberto Ranazzi, che il 31 maggio scorso aveva così dichiarato.

Di fatto, lo Stato egiziano rifiutando di cooperare con le Autorità italiane sottrae i propri funzionari alla giurisdizione del giudice italiano, creando una situazione di immunità non riconosciuta da alcuna norma dell’ordinamento internazionale, peraltro con delitti che violano i diritti fondamentali dell’uomo universalmente riconosciuti. Tale situazione di immunità determina una inammissibile ‘zona franca’ di impunità per i cittadini-funzionari egiziani nei confronti dei cittadini italiani che abbiano subito in quel Paese dei delitti per i quali è riconosciuta la giurisdizione del giudice italiano in base alle convenzioni internazionali.

L’Egitto, insomma, non può impedire che l’Italia processi gli imputati. Ora la palla passa nuovamente al gup di Roma, che potrà nuovamente rinviare gli imputati a giudizio, aspettandosi un esito diverso dal passato.

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