George Gershwin, autore di Rapsodia in Blue e altri capolavori, è riuscito prima di altri e più altri ad abbattere, per la prima volta, le barriere tra musica colta e popolare, tra America ed Europa. Con la sua musica eclettica divenne una personalità iconica, incarnava lo spirito ruggente della New York tra le due guerre. Peccato per il fine vita. Un epilogo difficile da accettare. Il compositore, quasi trentottenne, all’improvviso sentì odore di gomma bruciata, improvvisi mal di testa, sbagliava durante i concerti: interrompendosi e confondendosi continuamente. Cominciava a manifestarsi così il tumore al cervello, che lo avrebbe ucciso, giovane.

George Gershwin: infanzia, origini e talenti

Nato a Jacob Bruskin Gershowitz, da genitori emigrati ebrei, russi e ucraini, diventato successivamente uno dei più celebri compositori viventi, riesce a trasferire la famiglia in una intera palazzina di cinque piani a Manhattan. A differenza di molti grandi compositori, che vissero nella miseria e nell’incomprensione, Gershwin riuscì ad affermarsi anche economicamente. Imparò la musica, non in conservatorio, ma a Tin Pan Alley: cuore pulsante del musical e delle hit popolari dell’epoca. Fin dall’età di quindici anni scrisse canzoni per i musical e spartiti per le canzonette commerciali, sviluppò un infallibile fiuto per il gusto del pubblico, che non lo abbandonò neppure nelle opere più importanti, riuscì a miscelare diversi generi musicali popolari, con classe e astuzia.

Maurice Ravel si rifiutò di dargli lezioni perché non ne aveva bisogno

Maurice Ravel rifiutò di dargli lezioni dicendogli: “Perché dovresti essere un Ravel di seconda categoria quando sei già un Gershwin di prima categoria?” e aggiunse che da quando aveva cominciato ad affermarsi era Ravel a dover prender lezioni da lui. Conobbe il compositore Schoenberg, altro importante compositore che si rifiutò di dargli lezioni per non “corrompere la sua autenticità compositiva nel jazz”, ma decise di sfidarlo a tennis. La partita tra i due finì su tutti i giornali. Era troppo avanti per poter trovare negli altri una maestria che avvalorasse la sua già consacrata genialità compositiva. Ebbe modo di parlare con Pirandello, Stravinskij, tutta l’intelligentia artistica e culturale che animava la vivacissima New York di quegli anni.

Il rapporto con altri jazzisti

Il grande merito di Gershwin fu quello di “fare del jazz una signora rispettabile”, cioè di utilizzare i tempi, le sincopi e le cadenze armoniche di quel tipo di musica popolare, e spesso disprezzata, in una versione sinfonica, adeguata alla complessità formale della tradizione classica europea. I jazzisti neri lo disprezzavano: si racconta che in una festa in un hotel di lusso Willie “The Lion” Smith gli abbia detto: “Alzati e lascia suonare un vero pianista, schiappa” – cosa che lui fece di buon grado, ridendo. Tuttavia, il suo sforzo di “nobilitare” il jazz fu importante nella sua accettazione come genere colto e musicalmente impegnato.

Il jazz secondo Gershwin

Il jazz, genere musicale fortemente urbano, veniva abilmente rivisitato e riproposto da musica d’ascolto in musica da ballo, colonne sonore, arrangiamenti per i musical. Scrisse, inoltre, per cinema, la  pubblicità, le classifiche e sale da concerto. La sua musica è un ritratto dell’America “ruggente” di quegli anni. Incarnava l’archetipo del dandy americano: elegantissimo, brillante, seducente. Esercitava un grande fascino sulle donne. Si innamorava sempre di persone irraggiungibili, che non ricambiavano mai, e che avevano già sposato altre persone. Ciò che che rimane è l’abilità con cui seppe riportare, nei suoni, l’entusiasmo e la frenesia delle grandi città.