L’ex medico della Virtus Bologna Giampaolo Amato non avrebbe ucciso solo la moglie Isabella Linsalata, ma anche la suocera Giulia Tateo, morta appena tre settimane prima della figlia: è la conclusione a cui sono arrivate le indagini coordinate dai pm Morena Plazzi e Domenico Ambrosino, la cui chiusura è stata da poco notificata all’indagato e ai suoi difensori. Si avvicina ora il momento del suo rinvio a giudizio.

Verso il rinvio a giudizio di Giampaolo Amato, l’ex medico della Virtus Bologna accusato di duplice omicidio

Il reato contestato ad Amato dalla Procura bolognese è quello di duplice omicidio,

perché con le aggravanti del mezzo venefico o insidioso, della premeditazione e dei motivi abietti e futili pianificava ed eseguiva l’uccisione della moglie e della suocera, somministrando sostanze sedative e psicotrope,

si legge nell’atto di chiusura delle indagini. Il movente sarbbe lo stesso per entrambi i delitti:

Motivi ereditari, per avere libera disponibilità degli immobili ubicati in via Bianconi, al primo piano, residenze della suocera e della moglie (lui, dopo la seprazione da Linsalata, viveva al piano superiore, ndr) e soprattutto per avere piena libertà nella relazione extraconiugale.

Madre e figlia furono trovate morte ad appena tre settimane di distanza nell’ottobre del 2021. Entrambe, secondo quanto ricostruito dall’accusa, sarebbero state uccise da Amato con dei mix di farmaci sottratti all’azienda sanitaria per cui, all’epoca dei fatti, lavorava come oculista, perlopiù benzodiazepine e anestetici. I sospetti si erano concentrati su di lui dopo l’analisi di una bottiglia di vino che la sorella di Linsalata aveva prelevato dalla sua abitazione una sera in cui aveva trovato la donna stordita dopo aver consumato dell’alcol (mischiato al Midazolam) offertole dal marito e che lui non aveva bevuto.

Da un po’ temeva che l’uomo la drogasse: era stata lei a parlargliene, confidandole di aver fatto anche degli esami del sangue. Voleva essere sicura che il marito non le somministrasse sostanze tossiche perché un giorno, mentre era alla guida, aveva accusato un colpo di sonno, rischiando di morire. Nel suo sangue erano state trovate tracce di ansiolitici. Ansiolitici che però lei non assumeva. Eppure non aveva sporto denuncia: non voleva “rovinare la carriera” di Amato – aveva confidato alle amiche – e preservare il suo rapporto con i figli.

Il mix di farmaci, i depistaggi, la pericolosità sociale

L’autopsia effettuata sulla salma della 62enne ne aveva confermato la morte per avvelenamento. E da subito era emerso il sospetto che l’uomo c’entrasse qualcosa anche con il decesso della suocera, trovata morta in circostanze simili poche settimane prima. Gli accertamenti condotti nel corso delle indagini sembrerebbero essere arrivati alla conclusione che anche a lei il medico somministrò massicce dosi di farmaci.

Dalla cella del carcere in cui è recluso Amato si è sempre dichiarato innocente. Ma sulla sua colpevolezza gli inquirenti hanno pochi dubbi: lo scorso maggio il giudice chiamato a decidere sul Ricorso presentato dai suoi difensori aveva dichiarato che avrebbe potuto uccidere ancora. Scagliandosi, in particolare, contro la sua ex amante, la donna di cui si era innamorato e per la quale avrebbe progettato i suoi delitti, allontanatasi da lui dopo l’arresto.

Per questo gli era stato negato di uscire in attesa del processo. Processo che ora si fa sempre più vicino: a breve il pm che gli ha notificato l’atto di chiusura delle indagini potrà chiedere il suo rinvio a giudizio e fissare la data dell’udienza preliminare. L’uomo dovrà rispondere all’accusa di duplice omicidio pluriaggravato, peculato e detenzione illecita di farmaci.

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