Sarebbe stata strozzata a mani nude e poi gettata all’interno della fossa che i suoi familiari avevano scavato nel terreno giorni prima, Saman Abbas, la 18enne di origine pakistana scomparsa e poi trovata morta a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, il 18 novembre 2022. A renderlo noto sono i risultati della perizia medico-legale di cui si discuterà oggi in aula nel corso del processo a carico dei cinque parenti della giovane accusati di omicidio volontario e occultamento di cadavere: lo zio Danish, i genitori Shabbar e Nazia (quest’ultima ancora ricercata) e i due cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq.

Omicidio Saman Abbas, oggi in aula la discussione sui risultati della perizia medico-legale

Il corpo della ragazza era stato trovato su indicazione dello zio Danish, sospettato di essere l’esecutore materiale del delitto. Si trovava nei pressi di un capannone abbandonato poco lontano dal casolare di campagna in cui la famiglia viveva, a Novellara, in una fossa che il comandante del Ris di Parma Giampiero Lago aveva riferito essere di dimensioni particolarmente importanti a livello di profondità e di altezza.

Fossa che secondo i professionisti incaricati di effettuare l’autopsia sulla salma e gli accertamenti sul luogo dell’occultamento, sarebbe stata scavata in almeno 6 momenti diversi dai familiari della 18enne finiti a processo con l’accusa di omicidio.

Il fatto che il terreno sia ben stratificato determina che questa parte del riempimento si sia in realtà costituita da una serie di 6 eventi che si sono susseguiti nel tempo e che non possono assolutamente essersi depositati in un unico momento,

si legge nella perizia di cui si discute oggi in aula, che, in oltre 500 pagine, ripercorre le diverse fasi della morte della giovane. Una morte preparata nei minimi dettagli, anche se non è possibile stabilire da quando.

Se da un lato è possibile determinare con certezza che ci sono stati ben 6, se non 7 eventi in cui si è introdotto del materiale all’interno della tomba prima della deposizione del corpo della vittima, dall’altro non è dato sapere in maniera specifica in quanto tempo questa sequenza stratigrafica si sia formata – spiegano gli esperti -. L’unica affermazione che si può fare con certezza in merito all’intervallo trascorso tra la costruzione della sepoltura e la deposizione della vittima è che quest’ultima non è stata introdotta nella fossa nell’immediatezza della fine delle operazioni di scavo, ma in un, non meglio identificabile, momento successivo.

Lo riporta l’agenzia Agi.

Il ruolo dei cinque familiari finiti a processo

Stando a questa ricostruzione, più persone avrebbero partecipato agli scavi, utilizzando badili e altri attrezzi appartenenti allo zio e ai cugini della vittima. Almeno in due, in particolare, avrebbero

partecipato alla sistemazione del corpo della vittima all’interno della fossa,

eseguita con precisione e non “in maniera spiccia”, buttando semplicemente il corpo all’interno. Si tratta di elementi importanti, di cui l’accusa si servirà per chiedere la condanna dei cinque imputati, tra cui il padre di Saman, recentemente estradato in Italia dal Pakistan e la madre, ancora latitante.

Tutti, secondo gli inquirenti, avrebbero preso parte al delitto. Il movente? Saman aveva da poco intrapreso una relazione con un suo connazionale, Saqib Ayub, rifiutando di sposare il cugino che i familiari avevano scelto per lei e da cui – secondo la testimonianza di due detenuti finiti in cella con lo zio – avrebbero ricevuto in cambio un’ingente somma di denaro, circa 15mila euro.

La giovane era scappata di casa. Poi la madre l’aveva convinta a tornare, promettendole che avrebbero accettato la sua decisione. Quando li aveva raggiunti la sua tomba era già pronta da tempo.

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