A Tag24 su Marco Verratti Quintino Di Rocco ha raccontato quello che in tanti non sapevano. Del centrocampista abruzzese che avuto la fortuna di allenare per primo accompagnandolo nella crescita calcistica ha svelato degli aneddoti davvero particolari e curiosi che a tutt’oggi custodisce attraverso i suoi ricordi.

Tuffandoci subito nell’intervista ho iniziato a fargli qualche domanda con l’intento di soddisfare le mie di curiosità ma anche quelle che possono interessare chi non conosce Marco Verratti, il centrocampista dell’Al-Arabi e della nazionale italiana, ex Psg e Pescara partito dal suo paese d’origine Manoppello, un comune di circa 6mila abitanti della provincia di Pescara.

Marco Verratti tifava Juventus, il suo primo allenatore Quintino di Rocco: “Veniva al campo sempre con la maglia bianconera, voleva emulare del Piero”

Tra una chiacchierata e l’altra mister Quintino di Rocco parlando di Marco Verratti bambino, racconta come il centrocampista campione d’Europa si presentava agli allenamenti sempre con la maglia bianconera:

“Mi veniva agli allenamenti con la maglietta di Del Piero, voleva emulare Del Piero e io lo sfottevo perché ero milanista”.

Quintino Di Rocco a Tag 24 su Marco Verratti

E’ stato gentile mister Quintino Di Rocco nel concedermi un pò del suo tempo che ormai giustamente dedica alla famiglia. Da un pò di tempo si gode il pensionamento dopo anni e anni di militanza prima da calciatore e poi da allenatore nel calcio vissuto con passione.

L’ultima società nella quale ha operato, il Manoppello Arabona (la cui scuola calcio porta il nome di Marco Verratti) lo ha dipinto come profondo conoscitore del settore giovanile e scolastico nonché educatore stimato da intere generazioni di sportivi.

Del resto anche Marco Verratti non potrebbe non essere d’accordo sulle considerazioni fatte sul suo padre putativo calcistico che prima al Manoppello 1956 e successivamente al Manoppello Arabona (società nata dalla fusione delle due squadre di Manoppello, ovvero tra il Manoppello 1956 e l’Arabona) l’ha seguito dai suoi primi passi calcistici fino alla categoria esordienti.

L’impressione su Verratti

D: Quale è stata la sua impressione su Marco Verratti? Cosa ha pensato quando lo ha visto con il pallone fra i piedi?

All’età di 7 anni già si intravedeva che Marco potesse avere qualcosa, infatti io ho ritrovato una scheda che avevo fatto per lui appena arrivato e praticamente rileggendola oggi mi sono accorto che allora ho avuto l’impressione giusta, ovvero che questo ragazzo potesse fare carriera perché aveva la testa. Più che i piedi ci vuole innanzitutto la testa per fare il calciatore.

Ogni volta che gli facevo fare qualche esercitazione che magari sbagliava come sbagliavano anche gli altri, a differenza degli altri lui si arrabbiava con se stesso, praticamente voleva la perfezione. La ricerca della perfezione l’ha portato a diventare quello che è, aveva molti stimoli probabilmente anche spinto dal fatto che il fratello era bravo e stimato da tutti nell’ambiente.

Lui, diciamo che ha proseguito la scia del fratello che allora giocava nella categoria giovanissimi regionali ed era bravo, anzi ti dico sinceramente che era molto bravo. Ho provato anche a portarlo a Chieti Scalo al River in un contesto non paesano affinché si concentrasse più sul pallone e invece niente.

Marco invece è stato proprio coerente con se stesso, lui voleva fare il calciatore, si vedeva che avrebbe fatto strada perché all’età di 7 anni era già più maturo rispetto a uno di 12 -13 anni calcisticamente parlando”.

La personalità e la tecnica

D: Nelle partite come si comportava? Era evidente la differenza tecnica tra lui e gli altri?

R: “Io dovevo chiedere il permesso agli altri allenatori delle altre squadre perché lui non poteva giocare contro quelli più grandi: apparteneva ai piccoli amici e non poteva giocare nella categoria pulcini.

Chiaramente mi dicevano di sì perché mettevo un bambino piccolino, praticamente era piccolissimo però quando stava in mezzo al campo si vedeva la sua personalità nonostante la sua tenera età, tecnicamente era fortissimo.

Io ho sempre creduto in lui e speravo che facesse il calciatore, ci è riuscito perché aveva questa forza di volontà e di carattere che alla fine lo hanno indotto a fare il calciatore, a dimostrazione di quanto era caparbio anche la scelta inaspettata di andare a Parigi da Pescara”.

L’aneddoto

Ti racconto un aneddoto, stavamo facendo una finale a Ripa Teatina contro l’Ortona e a livello pulcini lui non poteva ancora giocare e io ogni volta come avevo detto prima chiedevo una deroga se poteva giocare.

In quella partita l’avevo sostituito e stava vicino a me, a bordo campo è caduto un ragazzino dello squadra avversaria e sono andato a vedere cosa si era fatto.

Quando ha ricominciato l’azione praticamente un altro ragazzino mi dice: “mister hai visto che ha fatto Marco? No perché che è successo? Praticamente Marco aveva dato un calcetto a sto ragazzino da terra e allora io l’ho ripreso dicendogli: “Marco queste cose non si fanno! E lui mi rispose: mister io voglio vincere!

Ecco tutto questo per farti capire la voglia che lui aveva proprio di vincere, di arrivare, la mentalità vincente che possedeva”.

Tecnicamente era fortissimo: “…la palla tra i piedi non gliela toglievi mai…”

D: Mi ha detto più volte che aveva la testa, ovvero già aveva la mentalità di un veterano, ma le chiedo, quando metteva Marco Verratti in campo si notava la differenza tecnica con gli altri?

R: “Allora io quando dico la testa è perché è fondamentale per poter andare avanti e per farti fare il salto, però chiaramente era bravo pure lui tecnicamente, cioè lui quando giocava con me, diciamo era una mezza punta, giocava sempre avanti e si vedeva che era bravissimo.

Anche col Pescara dopo il primo anno che ha disputato il campionato giovanissimi, il secondo anno era già passato alla primavera, saltando la categoria allievi. Si vedeva già che era bravo tecnicamente e il pallone non glielo toglievi dai piedi.

Il fattore che lo ha contraddistinto dal fratello ma anche dagli altri è riconducibile senz’altro alla mentalità, lui aveva la voglia di arrivare a fare il calciatore e poi calciava di destro e di sinistro tranquillamente senza senza problemi, controllava la palla in modo eccezionale. Per come trattava la palla sembrava un veterano”.

Un grande dono di natura mentale e calcistica

D: I giorni in cui ha esordito col Pescara in prima squadra in Coppa Italia col Mezzocorona e poi qualche settimana dopo in campionato contro il Crotone ha avuto semmai ce ne fosse stato il bisogno la conferma di quello che ha sempre pensato di lui?

R: “Nella mia scheda, quella di cui ti parlavo prima come giudizio finale ci avevo scritto “eccezionale”. È chiaro che agli inizi si dovevano attendere alcune cose, comunque lui era piccolo ed era anche prematuro fare una previsione, ma era dotato, aveva un grande dono di natura mentale e calcistica che facevano propendere verso un futuro roseo per lui”.

Il Psg, la scelta giusta

D: Il Psg, ve lo aspettavate?

R: “Quando la mamma mi disse che aveva scelto il Paris Saint Germain non ce lo aspettavamo, tutti quanti noi qui a Manoppello pensavamo sempre che potesse approdare alla Juventus, al Milan, all’Inter, a squadre di un certo livello ma in serie A, invece alla fine col senno di poi possiamo dire che ha fatto una scelta giusta, l’unico che è rimasto al Psg per 11 lunghi anni.

Penso che da lì se n’è andato perché ha avuto qualche problema con qualche giornalista, praticamente gliel’hanno detto di tutti i colori da quando ha commesso quell’errore contro il Bayern che è valso l’eliminazione dalla Champions”

La serie A

D: “Io l’avrei voluto vedere in serie A, lei?”

R: Pure io l’avrei voluto vedere in Italia, è un peccato anche perché adesso attualmente in qui da noi in Italia nessuno è in grado di dargli quei soldi che gli danno in Arabia.