Cos’è la retinite pigmentosa? Si tratta di una patologia ereditaria che incarna le caratteristiche di un insieme di malattie oculari che hanno origine genetica.

Alcune di queste malattie infatti portano alla perdita progressiva del campo visivo e dell’acuità visiva senza determinare cecità. Altre invece portano a cecità completa oppure sono associate ad altre sindromi che oltre alla vista colpiscono anche l’udito e l’equilibrio.

 In alcuni casi la progressione è molto lenta e non ci si rende conto di soffrire di una condizione medica. Infatti alcune volte passano decenni prima che compaiano dei disturbi significativi, in altri casi però l’evoluzione può essere ben più rapida.

Nella retinite pigmentosa sono coinvolti principalmente i bastoncelli, che hanno il compito di farci vedere nelle condizioni di scarsa illuminazione e in quelle crepuscolari. La patologia interessa però anche i coni, che sono invece legati alla visione diurna.

Nelle prima fase della malattia i pazienti hanno spesso problemi con la visione notturna e con una riduzione del campo visivo, acquisendo la cosiddetta “vista a cannocchiale” garantita dall’azione dei coni.

Nelle fasi più tardive poi la degenerazione della malattia coinvolge anche questi ultimi riducendo di volta in volta la vista, fino ad arrivare alla cecità completa nelle forme più gravi.

Cos’è la retinite pigmentosa: i sintomi

La retinite pigmentosa può presentare molti sintomi e segni. Alcuni di questi possono essere: la riduzione della visione notturna, la difficoltà a vedere in condizioni di scarsa illuminazione e nella fase iniziale la visione periferica alterata con presenza di punti ciechi.

In seguito ai primi sintomi possono manifestarsi anche la sensazione di luci scintillanti o lampeggianti, la visione a tunnel o cannocchiale, la perdita della capacità di vedere i colori, una sensazione di disagio in presenza di luce intensa e una significativa riduzione della vista.

La diagnosi avviene attraverso l’elettroretinogramma, ovvero un esame specifico del fondo oculare.

A causa del numero importante di geni e coinvolti nella patologia, l’indagine genetica non viene normalmente utilizzata come metodo diagnostico, anche se è importante per determinare la possibile progressione della patologia e il rischio di sviluppo per altri membri della famiglia.

Ad oggi si ritiene che circa 2 milioni di persone al mondo siano colpite da questa patologia con un’incidenza di 1 caso ogni 3.000/4.000 nati. In Italia circa 1.500 pazienti convivono con la forma che determina cecità a entrambi gli occhi.

Come curare questa malattia

Ad oggi non esiste una cura per la retinite pigmentosa, dato che non è possibile riparare ai danni che essa produce.

Dal punto di vista chirurgico protesi retiniche e impianti di chip possono aiutare le persone completamente cieche a recuperare alcuni stimoli visivi, come la nuova retina artificiale sviluppata dagli scienziati italiani guidati da un team del Center for Synaptic Neuroscience and Technology dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova.

Nell’Ottobre del 2021 in Italia è stata impiantata a un uomo con retinite pigmentosa una retina artificiale prodotta in Israele in grado di donare una vista ai pazienti ciechi.

Grazie a questo innovativo strumento il paziente è tornato a vedere la luce. Dopo un lungo periodo infatti questo dispositivo consente di vedere immagini in bianco e nero, permettendo di riconoscere i contorni degli oggetti.

Come si può rallentare il decorso

È possibile, in alcuni pazienti, rallentare la progressione della retinite grazie a delle terapie ad hoc. La combinazione tra una dieta ricca di acidi grassi Omega-3 e l’assunzione di supplementi a base di vitamina A può rallentare fortemente la perdita della vista in chi soffre di retinite pigmentosa.

Ad effettuare la scoperta sono stati i ricercatori dell’Università di Harvard. La ricerca ha infatti rilevato che il consumo di almeno 0,2 grammi al giorno di Omega-3 riduce ogni anno del 40% la rapidità della perdita della capacità di vedere a distanza.

Secondo il gruppo di scienziati statunitensi, guidato da Eliot Berson, questo effetto potrebbe garantire ai pazienti di mantenere la vista per 18 anni in più.

Utile per migliorare al propria condizione visiva anche la terapia genica basata su adenovirus come vettori che può essere preziosa contro alcune specifiche forme della malattia.