Chi era Matteo Messina Denaro il boss latitante per 30 anni morto oggi 25 Settembre a 61 anni nella cella dell’ospedale ‘San Salvatore’ dell’Aquila dove era ricoverato per un tumore al colon ormai in uno stadio avanzato.
L’ex boss è nato e cresciuto in una famiglia mafiosa, figlio dell’ex boss di Cosa Nostra Francesco Messina Denaro, morto da latitante.
Chi era Matteo Messina Denaro: 30 anni di latitanza
Il 61enne spirato poche ore fa aveva iniziato la sua latitanza nell’estate del 1993, subito dopo gli attentati del ’92 e le bombe del ’93 di Roma, Firenze e Milano.
L’ultima volta che il boss venne visto libero era in vacanza a Forte dei Marmi insieme ai fratelli Graviano i due boss di Brancaccio. Dopo quel momento di lui, non ci sono state più notizie fino all’arresto nella clinica “Maddalena” a Palermo nel Gennaio di quest’anno.
La sua ultima foto segnaletica infatti risale alla fine degli anni ’80. Dopo di che gli agenti per tentare di rintracciarlo hanno rielaborato al computer veri identikit di quell’immagine. Per anni il boss delle stragi è stato un vero e proprio fantasma.
Matteo Messina Denaro era accusato e condannato per decine di omicidi. Era considerato un mafioso senza scrupoli, sadico e sanguinario, capace di macchiarsi di ogni genere di crimine e vantarsi. Spesso ripeteva: “Con le persone che ho ammazzato, potrei riempirci un cimitero”.
In base alle indagini portate avanti in questi anni fu il padre a coinvolgerlo in uno dei suoi primi omicidi. Nel 1989 infatti entrambi furono denunciati per associazione mafiosa e per l’omicidio di quattro uomini strangolati e poi sciolti nell’acido. I due tornarono in libertà a causa di mancanzadi prove, venendo così scagionati da tutte le accuse.
Nel 1991, Matteo Messina Denaro si macchiò dell’omicidio di Nicola Consales, proprietario di un albergo di Triscina, nel comune di Castelvetrano, ucciso dopo essersi lamentato della continua presenza del mafioso e dei suoi amici nella sua struttura.
L’anno dopo, insieme ad altri mafiosi fece parte di un gruppo armato che doveva uccidere Maurizio Costanzo, Giovanni Falcone e Claudio Martelli. Riina però decise di richiamare il gruppo perché voleva che la morte di Falcone avvenisse in maniera più plateale.
Tra questi omicidi ci fu forse il più crudele, quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il bambino strangolato e sciolto nell’acido perché suo padre Santino, collaboratore di giustizia, non si era piegato alle richieste di Cosa Nostra e non aveva ritrattato le accuse contro i capi del clan.
Perse le sue tracce per anni si pensava che fosse fuggito in Sudamerica per un periodo. Fino al ritorno in Sicilia, dove, senza dubbio ha trascorso l’ultimo periodo della sua latitanza sotto il falso nome di Andrea Bonafede.
Oltre ai tanti omicidi ordinati e portati a termine è stato anche capace di riciclare i proventi illegali nel settore eolico, in centri commerciali ed alberghi.
Messina Denaro è però morto senza pentirsi e senza dire una parola sui suoi complici e collaboratori portandosi dietro i suoi misteri.
Nessuna parola davanti ai magistrati
Dopo essere stato catturato e arrestato non ha mai divulgato informazioni e notizie ai magistrati che lo hanno più volte interrogato.
In alcune occasioni il boss aveva anche dichiarato di non far parte di Cosa Nostra e di averla conosciuta attraverso i giornali e la tv. Negava anche di aver commesso le stragi di cui era accusato e soprattutto ha fatto mettere a verbale una frase in cui diceva di non essere stato lui ad uccidere Giuseppe Di Matteo.
Dopo queste brevi dichiarazioni si è chiuso in un profondo silenzio senza più dare nessuna risposta. Ha tenuto lo stesso atteggiamento dei boss Riina e Provenzano, entrambi morti in carcere senza mai ammettere nessun reato.