La nuova proposta dell’INPS sulla riforma delle pensioni sta suscitando non poche discussioni. L’Istituto ha ipotizzato di ridurre la spesa previdenziale con la storia delle “pensioni più basse per chi vive di più”. Il termine giusto sarebbe espropriazione parziale della pensione in funzione all’aspettativa di vita. Dall’INPS arriva un gesto inaspettato che, con una misura aggressiva, punterebbe a distribuire assegni previdenziali sulla base del criterio di equità correlato alla speranza di vita dei lavoratori. Analizziamo nel dettaglio la nuova proposta dell’INPS sulle pensioni degli italiani.
INPS riforma delle pensioni
I lavoratori che “vivono più a lungo” rispetto ad altri avrebbero un trattamento più basso. C’era una volta la pensione per tutti i lavoratori, e ora c’è la strategia per non distribuire il giusto trattamento previdenziale. Secondo quanto riportato dal Messaggero, lo studio dell’INPS potrebbe trovare spazio sul tavolo del governo Meloni tra le misure della riforma delle pensioni.
Si parla molto dell’indagine promossa dall’INPS, la quale punterebbe a ridimensionare il quadro dell’ingiustizia previdenziale. Tutto parte dalla semplice constatazione che le pensioni vengono erogate senza considerare lo stato sociale dei lavoratori. Infatti, l’INPS, nella distribuzione dei trattamenti, non tiene conto dello stato di agiatezza, sottovalutando il fatto che i meno benestanti vivono una vita meno equa rispetto a quelli facoltosi.
Lo studio dell’INPS sulla nuova proposta per la riforma delle pensioni
Uno studio è stato condotto sull‘aspettativa di vita registrata in diverse regioni italiane e suddivisa per categoria di lavoro. Il cerchio si chiude sui lavoratori che, a 67 anni, hanno un’aspettativa di vita di decenni, in contrasto con coloro che hanno davanti qualche decina di mensilità.
I segnali che emergono in questo settore previdenziale sono sconfortanti. L’INPS, nella distribuzione delle pensioni, non tiene conto dell’aspettativa di vita. La partita relativa alla liquidazione della pensione si gioca tra il montante contributivo, il coefficiente di trasformazione applicato e l’età del pensionamento.
La proposta dell’INPS punta, inizialmente, al calcolo delle probabilità per gli individui distinti per professione, regione ed efficienza sanitaria.
Le ultime novità dell’INPS sulla riforma delle pensioni che potrebbe cambiare il sistema previdenziale
Vi è anche da considerare un altro aspetto legato all’incremento della mortalità causato dal Covid-19, che ha ridotto l’aspettativa di vita, portando ad un aumento delle prestazioni per coloro che scelgono di accedere alla pensione nel 2023.
Si tratta di una norma introdotta con un decreto interministeriale pubblicato a dicembre 2021. A partire dal 1° gennaio 2023 è stata effettuata una revisione biennale dei coefficienti del montante contributivo applicabile per il calcolo della quota contributiva per il periodo compreso tra il 2023 e il 2024. Ad esempio, il coefficiente di trasformazione per chi va in pensione:
- a 57 anni di età è pari a 4,270, anziché 4,186 del biennio 2021/2022;
- a 71 anni di età è pari a 6,655, anziché 6,466 del biennio 2021/2022.
Tuttavia, non bastano soltanto questi elementi, ma è necessario considerare anche la tipologia di lavoro. L’aspettativa media per l’accesso al trattamento economico corrisponde a 17,6 anni per gli iscritti al fondo dei lavoratori dipendenti. Tale media sale a 19,7 per gli ex dirigenti iscritti alla gestione Inpdai.
Rimane da considerare l’indice legato alla classe di reddito. I lavoratori con uno stipendio basso, quindi, rientranti in una fascia di reddito bassa, potranno ricevere la pensione in media per 16 anni, contro i 21 anni per coloro che rientrano in una fascia di reddito alta.
Lo studio dell’INPS prende in esame anche la regione di appartenenza, stilando una classifica di dove si vive di più dopo la pensione. Il Trentino Alto Adige registra un’alta speranza di vita, con una media di 21,6 anni dopo la pensione, mentre Marche e Umbria si attestano a 18 anni dopo i 67 anni di età.
La maglia rossa va alla Sicilia e alla Campania, dove l’aspettativa di vita dopo la pensione non supera i 17,1 anni.