Ai microfoni dell’emittente statunitense Cnn, il premier conservatore israeliano, il leader del Likud Benjamin Netanyahu, ha voluto marcare una sorta di confine con l’estrema destra che comunque compone il suo esecutivo. Un rapporto che rischia di incrinarsi sul caldissimo tema della pace con Riad. Rapporto, ancora, che ha subito una ulteriore sferzata con le minacce degli alleati di far cadere il governo qualora Netanyahu facesse concessioni all’Arabia Saudita. Prime fra tutte, le richieste avanzate in favore del popolo palestinese.

Il premier d’Israele Netanyahu: “Sono io a decidere la pace, non gli alleati”. Ma questi minacciano la caduta del governo

Se sono disposto a far saltare la coalizione per l’accordo con l’Arabia Saudita? Non credo che sarà necessario – dice il premier dagli Stati Uniti – La questione è se io lo accetto o meno. Parlano, parlano, parlano: questo fanno i politici. Non credo che la gente capisca come funziona il nostro sistema. I possibili partner della coalizione si uniscono a me, non sono io che mi sono unito a loro.

E nel Paese le proteste vanno avanti da 10 mesi: “Nessun perdono per chi vuole portare la dittatura”

Ma se da una parte Netanyahu fa la voce grossa con i partner, in attesa comunque di un difficile ritorno in patria, in Israele proseguono le proteste contro la riforma della giustizia. Tagliato oramai il traguardo dei dieci mesi di manifestazioni e, alla vigilia di Yom Kippur, momento in cui si completa il periodo di penitenza, l’imponente organizzazione anche questo sabato ha attivato 150 diversi centri in tutto il Paese. Ritrovo principale a Kaplan Street, a Tel Aviv. Piuttosto eloquente lo slogan: 

Non c’è perdono per il tentativo di trasformare Israele in una dittatura.

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