Pensioni più basse per chi vive di più: arriva la proposta dell’INPS che fa tanto discutere. Alla base, c’è la considerazione che le persone meno abbienti, spesso, hanno un’aspettativa di vita più breve. Pagare le pensioni alle persone meno abbienti utilizzando lo stesso coefficiente di trasformazione usato per chi sta economicamente meglio va solo a vantaggio dei secondi. Il dossier dell’Inps dice che il coefficiente di trasformazione uguale per tutti non è giusto.
In relazione alla riforma delle pensioni, l’Istituto di previdenza precisa che non c’è partecipazione attiva nella formulazione di una proposta.
L’Istituto propone un ricalcolo da effettuarsi in base all’impiego e alla speranza di vita. Come funziona e in cosa consiste la proposta?
Pensioni più basse per chi vive di più: ecco la proposta dell’Inps
L’Inps ha firmato uno studio, il suo “Rapporto annuale sulle differenze nella speranza di vita tra abbienti e meno abbienti” e lo ha presentato nei giorni scorsi alla Camera.
Secondo lo studio firmato dall’Inps si dovrebbero dare pensioni più basse a chi vive di più. Lo studio si pone come obiettivo la perequazione degli assegni in base alla speranza di vita dei lavoratori. Inoltre, gli assegni cambieranno anche in relazione alla regione di residenza e alla tipologia di professione lavorativa svolta.
In sostanza, l’Inps denuncia un’ingiustizia nell’utilizzo del coefficiente di trasformazione all’interno del circuito pensionistico. Utilizzare lo stesso per tutti è ingiusto e gli assegni dovrebbero essere stabiliti facendo opportune valutazioni. Prima di tutto, si dovrebbe considerare che i soggetti meno abbienti hanno una speranza di vita più breve rispetto a chi è più ricco.
Quindi, l’Istituto propone di adeguare le pensioni all’aspettativa di vita dei lavoratori, corrispondendo gli assegni più bassi a chi vive più a lungo.
Come funziona il coefficiente di trasformazione
Il coefficiente di trasformazione è il valore che concorre al calcolo della pensione, nell’utilizzo del metodo contributivo. Il valore utilizzato è uguale per tutti e non tiene conto del lavoro svolto e della regione di in cui vive, oltre che delle predisposizioni genetiche che sono diverse per tutti.
Secondo l’Inps, si dovrebbe tenere conto di queste variabili nel coefficiente di trasformazione. Sarà semplice ottenerla? In realtà no, anche perché la differenziazione in base al luogo oppure all’attività svolta sarebbe molto difficile. In ogni caso, rimarrebbe anche la disparità nella maggiore speranza di vita per le donne rispetto che per gli uomini.
Bisogna anche considerare che i coefficienti di trasformazione variano in base all’età anagrafica del lavoratore nel momento in cui consegue la pensione: dai 57 anni fino ai 71 anni.
Quali sono le regioni più longeve
Ci sono, come sempre del resto, alcune differenze anche regionali, tra Nord, Centro e Sud Italia. Per i maschi, la longevità massima è nelle regioni Marche e Umbria. Per quanto riguarda le donne, la longevità massima è in Trentino Altro Adige. Si calcola una speranza di vita più bassa in Campania e in Sicilia.
In questi dati, secondo l’Istituto, si crea l’ingiustizia sociale. Per quale motivo? Una donna trentina vive in media 22 anni dopo la pensione. Una donna siciliana circa 17 anni. Quello della speranza di vita territoriale si interseca anche al reddito. Ritorniamo all’esempio della donna trentina. La speranza di vita sale a 22,5 anni se l’ex lavoratrice appartiene ad una fascia alta di reddito.
Pertanto, a livello nazionale, un pensionato che si colloca nella fascia più bassa, percepisce l’assegno per circa 16 anni, mentre un pensionato più ricco lo riceve in media per circa 20,9 anni.
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