Cos’è l’antico Rito del Faro? Questa celebrazione è dedicata a Santa Tecla, la patrona della parrocchia della cattedrale di Milano e consiste in una grande palla infuocata posta sopra il presbiterio del Duomo. Questo particolare rito si terrà domani, Sabato 23 Settembre alle ore 17.30.
All’inizio della messa una processione arriverà fino al limite del presbiterio, dove si troverà questa palla sospesa a circa 5 metri di altezza davanti all’altare ornata con una corona, una croce e delle palme.
Dopo il canto dei 12 Kyrie eléison, ovvero una preghiera della liturgia cristiana, il sacerdote celebrante innalzerà l’apposito bastone sul quale saranno poste tre piccole candele. Con questo gesto darà finalmente vita a un “piccolo incendio” in onore della santa martire Tecla.
Cos’è l’antico Rito del Faro: il significato e l’origine di questa tradizione
Secondo gli studiosi questa particolare celebrazione risalirebbe all’illuminazione con le torce delle tombe dei martiri all’interno delle catacombe.
Il primo accenno al rito deriva però dal VII secolo. Un documento cremonese infatti cita “corona et pharum” da incendiarsi per la festa di San Sisinio.
Il grande “faro”, in questo caso era formato da un anello di lumi che venivano infuocati uno dopo l’altro e poi innescavano le fiamme di un anello di bambagia più grande posto al di sopra.
Nella tradizione cristiana il Rito del Faro vuole celebrare il sacrificio della vita da parte di un martire della Chiesa. Per questo viene celebrato in molte parrocchie nel giorno del loro patrono.
La funzione che si svolge nel Duomo di Milano in particolare, vuole onorare la memoria di Santa Tecla e simboleggiarne il suo martirio, dalla quale però, secondo le testimonianze arrivate fino a noi, riuscì in realtà a scampare più volte.
Chi era Santa Tecla
Tecla viveva nell’attuale Konya, città nel sud della Turchia durante la fine del I Secolo. Divenne discepola di San Paolo, apostola, protomartire e una delle prime diaconesse della Chiesa cristiana.
Secondo la tradizione cristiana, questa giovane donna, proveniente da una ricca famiglia della città, doveva sposarsi con Tamiri, giovane uomo anche lui nato in una facoltosa famiglia.
Tecla però non aveva intenzione di unirsi in matrimonio anzi si era convertita ascoltando le parole di San Paolo. Rifiutò così il matrimonio e per questo gesto considerato oltraggioso i suoi familiari convinsero il governatore della città a condannarla al rogo.
Lei però riuscì a scampare al rogo grazie a un improvviso diluvio che spense il fuoco. Questo episodio fu solo il primo dei martirii alla quale la donna riuscì a sfuggire.
Dopo aver rifiutato le nozze, la donna si unì a San Paolo nei suoi viaggi. Proprio durante uno di questi, un nobile di una città si invaghì di lei e mosso da questo sentimento cercò di abbracciarla in pubblico ma la donna si ribellò strappandogli il mantello. Così Tecla venne nuovamente condannata a morte. Questa volta però per l’esecuzione il governatore scelse delle belve feroci.
La donna, all’interno dell’anfiteatro popolato da leoni, era ormai pronta a morire ma anche questa volta si salvò. Tecla infatti rimase in vita grazie alla protezione di una leonessa che si sottomise a lei.
Dopo essere scampata alle fauci delle belve ormai sicura dell’appoggio divino, Tecla si gettò in una vasca di foche altrettanto feroci, mentre una palla di fuoco la avvolgeva coprendo le sue nudità. Anche in questo caso uscì indenne dalla vasca grazie ad un fulmine che stordì gli animali.
Il popolo interpretò la caduta del fulmine proprio nella vasca con gli animali feroci come un segno divino e lo stesso governatore la fece liberare.
Tecla passò i seguenti anni ad evangelizzare e convertire le popolazioni dell’Asia minore dedicandosi alla preghiera e alla Chiesa.
La sua morte rimane però un mistero. Durante i suoi ultimi anni di vita infatti si ritirò a Seleucia, dove trascorse tutto il tempo in una grotta. Poco prima della sua scomparsa però riuscì a sfuggire ad un tentativo di violenza scomparendo proprio dentro ad una roccia e non ricomparendo mai più.