Il Federal Reserve System ha deciso di non modificare i tassi, al momento oscillanti tra il 5,25% e il 5,50%, ai massimi storici da oltre un ventennio. In molti si attendevano una mossa della FED e la decisione di non intervenire ha lasciato diversi strascichi nelle borse di tutto il mondo. L’obiettivo dichiarato è quello di abbassare globalmente l’inflazione e riportarla al 2%, per farlo è però necessario attuare una politica monetaria fortemente aggressiva ma le cui valutazioni verranno fatte in corso d’opera.

Sono in negativo tutte le borse europee, con la maglia nera che spetta a Parigi con il -1,14%. Leggermente meglio Milano e Francoforte con -0,71% e Londra, con -0,64%. Alla fiammata iniziale è susseguita una rapida stabilizzazione dello spread tra Btp italiano e Bund tedesco, con un differenziale a 176. La reazione negativa non si concentra però solo nell’area Euro: a chiudere in rosso sono anche i mercati asiatici, dove Tokyo ha perso l’1,22%.

La FED allunga i tempi della stretta: i ribassi slittano a metà 2024

Le reazioni delle borse all’azione della FED relative alla decisione sui tassi di interesse non sorprendono gli analisti, che anzi stimano in una stretta più lunga del previsto da parte dell’ente regolatore statunitense. Si preannuncia, secondo gli addetti ai lavori, un rialzo fino al 5,75 entro fine anno. La discesa dei tassi, perciò, non sembra poter avvenire prima di metà 2024, anche se potrebbe essere necessario attendere il 2025 per tornare nella fascia 3,75-4 %.

L’inflazione continua a pesare

Analizzando i dati ora disponibili riguardo a inflazione e disoccupazione, stupisce notevolmente quest’ultima. La percentuale di disoccupati negli Stati Uniti resta notevolmente più bassa del previsto: si stima un 3,8% entro fine anno, al di sotto del 4% che è considerata la soglia di equilibrio, che raddoppia invece guardando all’Italia, con il 7,6%. Anche le proiezioni relative al PIL sembrano essere incoraggianti, con dati che mostrano un +2,1% entro fine anno (con una crescita di oltre un punto percentuale rispetto a giugno 2023).

I dubbi maggiori permangono sull’inflazione, le cui rilevazioni non sembrano essere variate di molto sia nell’anno in corso che nelle prospettive immediatamente future. Si stima, sempre su suolo statunitense, un 3,3% per la fine dell’anno e un 2,5% per il 2024. Un rallentamento, seppur minimo, dovrebbe profilarsi anche nella zona euro, ma con valori ben diversi da quelli a stelle e strisce, con i governi (italiano incluso) impegnati nella ricerca di contromisure. Si stima un 5,6% nel 2023 (con un calo di 0,2 rispetto a quanto preventivato) e a un crollo fino al 2,9% nel 2024.