La Federazione Russa, emersa dall’ombra della caduta dell’Unione Sovietica, visse un tumultuoso 1993 caratterizzato da forti tensioni politiche. Centrali in questo scenario furono il presidente Boris Eltsin e il Soviet Supremo della Federazione Russa. Gli scontri tra le due istituzioni avrebbero segnato indelebilmente la storia del Paese.

Come il 21 settembre 1993 iniziò la Crisi Costituzionale Russa

La relazione tra Eltsin e il parlamento divenne particolarmente tesa. La crescente instabilità economica e sociale, spesso attribuita alle politiche di Eltsin, accentuò le frizioni. Il culmine fu raggiunto proprio il 21 settembre 1993, quando Eltsin tentò audacemente di sciogliere le due camere del parlamento, una mossa contestata in quanto non prevista dalla costituzione del tempo.

Il contesto economico

La Russia post-sovietica si trovava in un periodo di profonde trasformazioni economiche. Le politiche di liberalizzazione introdotte da Eltsin nel gennaio 1992 causarono sconvolgimenti. In breve tempo, i prezzi aumentarono, vennero introdotte nuove tasse e si verificò una grave crisi del credito. Molte industrie chiusero, e l’economia entrò in una fase recessiva. Queste dinamiche generarono critiche crescenti, soprattutto dai leader regionali e dai politici dell’opposizione.

L’ambizione di Eltsin di trasformare l’economia russa attraverso le privatizzazioni e altre riforme trovò infatti resistenza, non solo dall’opposizione, ma anche da ex alleati. Queste mire riformiste, spesso considerate radicali, furono accompagnate dalla volontà del presidente di consolidare il suo potere, suscitando le ire di molti nel parlamento.

Il punto di svolta per l’inizio del conflitto fu il decreto 1400, con il quale Eltsin tentò di sciogliere il Soviet Supremo. Questa decisione si scontrò con la Costituzione russa del 1978, secondo cui i poteri presidenziali non potevano essere usati per modificare l’organizzazione dello stato.

Gli eventi cardine della crisi costituzionale russa

La tensione politica a Mosca raggiunse un punto di rottura. Gli scontri tra sostenitori del parlamento e forze di sicurezza presero una brutta piega, culminando in numerose vittime. Boris Eltsin, di fronte alla crescente instabilità, dichiarò lo stato di emergenza in tutta la città. Le tensioni aumentarono ulteriormente quando, il 2 ottobre, il vicepresidente Alexander Rutskoi incitò i manifestanti dalla Casa Bianca, chiedendo loro di prendere di mira sia l’ufficio del sindaco, vicino a Eltsin, che la sede della televisione nazionale a Ostankino.

Il giorno successivo, un gruppo di manifestanti riuscì a sfondare le barriere di sicurezza, muovendosi strategicamente verso Ostankino. La polizia, tuttavia, riuscì a respingere questo assalto, portando ad ulteriori scontri. La mossa di Rutskoi fu vista con sfavore da alcuni generali militari che inizialmente avevano optato per la neutralità. Questa criticità si trasformò in un sostegno aperto per Eltsin.

Gli eventi precipitarono quando diversi leader parlamentari, incluso il vicepresidente Rutskoi, si barricarono nella Casa Bianca, il palazzo del Soviet Supremo. L’edificio fu presto isolato, con l’energia elettrica, l’acqua e le comunicazioni tagliate su ordine di Eltsin. Questo assedio culminò nel tentativo delle forze di sicurezza di riprendere il controllo dell’edificio, terminando l’occupazione e ponendo fine alla crisi.

La crisi si protrasse infatti fino al drammatico 4 ottobre 1993: carri armati moscoviti ricevettero l’ordine di colpire la sede del parlamento. Questo episodio, noto anche come Golpe d’ottobre, Assalto della Casa Bianca o Cannoneggiamento della Casa Bianca, portò la Russia sull’orlo di un colpo di stato.

L’alba vide l’inizio di un’offensiva pesante. Su ordine di Eltsin, i carri armati aprirono il fuoco sugli alti piani dell’edificio, cercando di causare il minimo danno umano possibile, ma massimizzando il panico e la confusione tra coloro che erano all’interno. Nel pomeriggio, forze speciali fecero irruzione nell’edificio, impegnandosi in scontri feroci. Dopo ore di combattimento, Rutskoi e altri leader del parlamento furono catturati e detenuti.

A seguito di ciò, vi furono intense manifestazioni in diverse parti di Mosca, e la situazione sembrò precipitare.

Le conseguenze dell’attacco

Le conseguenze di questi scontri furono devastanti. Stime iniziali suggerirono che 147 persone persero la vita, mentre altri 437 rimasero feriti. Questo episodio divenne l’evento più mortale a Mosca dall’epoca della Rivoluzione d’Ottobre. Le immagini di carri armati che sparavano contro un edificio governativo fecero il giro del mondo, provocando preoccupazione e sconcerto internazionale.

Nonostante l’ampiezza della crisi, il potere di Eltsin ne emerse fortificato. Alla fine dell’anno, riuscì a ottenere l’approvazione di una nuova costituzione, che conferiva alla Russia una struttura presidenziale molto più concentrata. Questo cambiamento istituzionale avrebbe gettato le basi per la presidenza di Vladimir Putin nel 1999.

Com’è cambiata Mosca (e la Russia) dopo la Crisi Costituzionale Russa del 1993

Nel cuore della Russia, Mosca si ritrovò sull’orlo di un precipizio nel 1993. La città era un vortice di tumulti: manifestazioni, barricate e tensioni erano all’ordine del giorno. Ma la capitale russa stava anche sperimentando una rinascita, un’evoluzione verso il moderno.

Il tumulto era talmente palpabile che la Chiesa ortodossa russa intervenne, offrendo preghiere per la pace. Il Patriarca presiedette una grandiosa liturgia, chiedendo una soluzione pacifica alla crisi. In risposta a ciò, un nuovo corso politico prese forma: entro la fine di quell’anno, la Russia avrebbe avuto una nuova costituzione, con una forte impronta presidenziale, voluta da Eltsin.

Mentre Mosca si apriva a nuovi orizzonti, le ombre del suo passato sovietico aleggiavano ancora. Immagini di Lenin e riferimenti al Partito Comunista dell’Unione Sovietica erano ancora onnipresenti. Eppure, il vento dell’occidentalizzazione soffiava forte. Dall’apertura dei fast food americani alla crescente popolarità dei cartoni animati occidentali, l’influenza dell’Occidente era ormai innegabile.

Con la caduta dell’URSS, la religione fece un trionfante ritorno. La Chiesa Ortodossa Russa venne nuovamente sostenuta dallo Stato. Edifici sacri come la Cattedrale di Kazan a San Pietroburgo, una volta trasformati in musei dell’ateismo, riaprirono le loro porte ai fedeli. La Piazza Rossa, testimone di innumerevoli parate comuniste, divenne il palcoscenico di concerti classici e eventi culturali.

L’arte e la moda russa subirono rivoluzioni simili. La libertà di espressione artistica si tradusse in opere audaci e provocatorie. La moda femminile, una volta monotona, abbracciò nuove tendenze e stili.

Mosca cominciò a trasformarsi anche urbanisticamente. Strade precedentemente deserte divennero strade trafficate di automobili. I battelli sul fiume Moscova divennero sempre più frequenti e la vita sulle rive del fiume si animò con ciclisti e passanti.

E, forse più importante di tutto, i bambini iniziarono a godersi l’infanzia in nuovi e fantasiosi parchi tematici, segno tangibile di una nazione in metamorfosi.