Nuovo appuntamento con la rubrica di Tag24 “Non solo trentatré”. Oggi affrontiamo il tema delle specializzazioni in ambito chirurgico, con il contributo del Prof. Claudio Loffreda-Mancinelli.
Laureato in Medicina alla “Sapienza” di Roma, si è poi specializzato in Anestesia presso l’Università Cattolica e la University of Pittsburgh dove ha anche ultimato una fellowship in Anestesia Ostetrica. Presso la Carnegie Mellon University ha completato un Master in Medical Management (MMM). È cintura nera in Lean Six Sigma, una metodica manageriale per il miglioramento di prestazioni e risultati. È stato membro del comitato nazionale di qualità (QMDA) per la Società Americana di Anestesia (ASA) e membro del Consiglio Direttivo per l’American College of Medical Quality (ACMQ).
Specializzazioni in ambito chirurgico: confronto tra Italia e Stati Uniti
Ritengo la Medicina Italiana eccellente. Un numero crescente di laureati e specializzati è continuamente richiesto all’estero.
Nell’ articolo “Arrivederci e grazie” apparso su questa rubrica, il Professor Carlo Rossi, Presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, ci spiegava le motivazioni che spingono un numero sempre crescente di laureati e specializzati ad andar via dall’Italia.
Ma la Scuola Italiana è un’eccellenza solo a livello teorico o fornisce una preparazione valida anche a livello pratico?
Oggi cercheremo di analizzare le differenze sostanziali nella formazione della Specializzazione in Chirurgia Generale negli Stati Uniti ed in Italia. Cercheremo di capire se delle problematiche esistono e quali possibili rimedi apportare.
La Formazione Specialistica in USA
Requisiti operativi attualmente in vigore.
Nel 2003 nuove riforme hanno vietato ai medici specializzandi di lavorare più di 80 ore settimanali e hanno limitato la durata dei turni a 24 ore.
Queste riforme sono state fortemente contestate. Molti medici, spesso quelli che si sono formati in un’era senza restrizioni sull’orario di lavoro (come chi scrive), hanno sollevato la preoccupazione che la qualità della formazione medica sarebbe stata sminuita da una mentalità basata sul lavoro a turni, con un’erosione della professionalità e l’incapacità dei medici in formazione di assistere in prima persona alla progressione ora per ora di una malattia critica, con conseguente minore esperienza su cui basare le future decisioni terapeutiche e una insufficiente preparazione per affrontare le lunghe ore e gli impegni richiesti da casi clinici complessi nella pratica della vita reale.
Preoccupazioni simili sono state sollevate in chirurgia: la riduzione dell’orario di lavoro avrebbe ridotto il numero di interventi dei chirurghi in formazione.
Una settimana lavorativa sembra sufficiente per formare un medico.
Un recente studio ha comunque dimostrato che una settimana lavorativa di 80 ore sembra sufficiente per formare un medico e che i risultati qualitativi nella cura dei pazienti post-riforma siano sovrapponibili a quelli precedenti.
È importante anche conoscere la realtà del mondo del lavoro americano, soprattutto riguardo la Sanità.
Dopo la specializzazione, molti chirurghi lavorano 50-60 ore settimanali, che non includono le ore di guardia. La maggior parte degli ospedali e degli studi privati non consente comunque ai chirurghi di lavorare più di 80 ore alla settimana, compreso il tempo di guardia o di ricerca.
Poiché molti interventi chirurgici richiedono diverse ore per essere completati, i turni di un chirurgo sono spesso più lunghi della normale giornata lavorativa di otto ore.
Per gli specializzandi negli Stati Uniti, le linee guida dell’iter di formazione sono stabilite
dalla Società Americana di Chirurgia Generale. Si tratta di requisiti minimi ma consistenti e comuni a tutte le scuole di specializzazione.
Nei 5 anni della specializzazione in chirurgia generale, almeno 850 procedure vanno effettuate come primo operatore, da colui che opera in prima persona pur sotto la supervisione di un tutor.
Nei primi due anni, deve portare a compimento 250 casi come chirurgo operativo o primo assistente. Almeno 200 interventi nell’ultimo anno.
Inoltre, almeno 40 casi riguardano malati in terapia intensiva chirurgica.
Sono anche chiaramente definiti i numeri minimi per ogni tipologia chirurgica.
La maggioranza degli specializzandi completa, comunque, ben oltre 1000 interventi durante il periodo di formazione.
La Formazione Specialistica in Italia
Le Scuole di Specializzazioni Mediche (SSM) nel 2022 sono 51 (regolate dall’ex D.M. 68/2015 e D.I. 1109/2021), divise in 3 aree (Medica, Chirurgica, Servizi Clinici), a loro volta suddivise in più classi. La durata è variabile a seconda del tipo di branca da 4 a 5 anni, secondo quanto previsto dal Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n.68 “Riordino scuole di Specializzazione di area sanitaria”.
Il Decreto Legislativo n. 368 del 17 Agosto 1999, riguardo all’orario di lavoro dello specializzando dovrà essere pari a quello previsto per il personale medico del Servizio sanitario nazionale a tempo pieno ovvero al momento 34 ore settimanali, più 4 ore settimanali per aggiornamento, previste da contratto (in riferimento al CCNL della Dirigenza medica).
Inoltre, il tetto massimo di ore lavorative è definito dalla direttiva Europea 2003/88/CE e non può superare le 48 ore settimanali. La stessa direttiva europea definisce anche che ci sono delle ore di riposo da rispettare (periodo di riposo minimo di 11 ore consecutive ogni 24 ore e di 24 ore consecutive per ogni settimana).
Qui troviamo una prima discordanza tra le ore lavorative proposte dalla direttiva Europea e quelle del Decreto legislativo Italiano.
Sul web si trovano innumerevoli articoli che pongono in risalto non solo l’importanza del rispetto delle ore di lavoro previste dalla legge, ma si denuncia il fatto che questa direttiva sia spesso non rispettata:
“vengono ampiamente superate le 38 ore previste da contratto (in riferimento al CCNL della Dirigenza medica), ma si viola sistematicamente anche la Normativa Europea in materia di orario lavorativo, che fissa un tetto massimo di 48 ore lavorative settimanali, oltre le quali si parla a tutti gli effetti di schiavitù!”
Difficile invece trovare articoli riguardanti la validità dell’esperienza formativa pratica che lo specializzando completa. Ho l’impressione che ci si soffermi soprattutto sul fenomeno delle ore lavorative, mentre non si pone in risalto come quelle ore lavorative vengano usate o se di fatto siano sufficienti per una corretta formazione.
Per ciascuna tipologia di Scuola è indicato il profilo specialistico e sono individuati obiettivi e i relativi percorsi didattici funzionali al conseguimento delle necessarie conoscenze culturali ed abilità professionali:
“Lo Specialista in Chirurgia generale deve avere maturato conoscenze teoriche, scientifiche e professionali nel campo della fisiopatologia, della semeiotica funzionale e strumentale e della clinica chirurgica generale; ha inoltre specifica competenza nella chirurgia d’urgenza, pronto soccorso e del trauma, nella chirurgia dell’apparato digerente tradizionale, endoscopica e mini-invasiva, nella endocrino-chirurgia, nella chirurgia oncologica e nella chirurgia sostitutiva, ricostruttiva e dei trapianti d’organo”.
Allegato Ministeriale sugli ORDINAMENTI DIDATTICI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE DI AREA SANITARIA – Il numero di interventi che lo specializzando dovrà eseguire durante i 5 anni di scuola di specializzazione sono riportati nella figura 1:
Fig. 1: Attività professionalizzanti obbligatorie per il raggiungimento delle finalità didattiche della tipologia:
- Almeno 30 interventi di alta chirurgia di cui il 10% come primo operatore. Il resto come secondo operatore;
- Almeno 80 interventi di media chirurgia di cui il 25% come primo operatore. Il resto come secondo operatore;
- Almeno 325 interventi di piccola chirurgia di cui il 40% come primo operatore. (Sono incluse le procedure di chirurgia ambulatoriale e in D.H.). Il resto come secondo operatore.
- Aver prestato assistenza diretta e responsabile con relativi atti diagnostici e terapeutici in un adeguato numero di pazienti in elezione, critici e in emergenza/urgenza.
Le modalità di svolgimento delle attività teoriche e pratiche dei medici in formazione, compresa la rotazione formativa, nonché il numero minimo e la tipologia degli interventi pratici che essi devono aver personalmente eseguito per essere ammessi a sostenere la prova finale annuale, sono preventivamente determinati dal Consiglio della Scuola.
In effetti alcune Scuole di Specializzazione in Chirurgia descrivono sui loro siti web le linee guida identiche a quelle riportate dall’allegato Ministeriale sugli ORDINAMENTI DIDATTICI SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE DI AREA SANITARIA e riportato nella figura 1.
Non è chiaro come o perché il numero minimo e la tipologia degli interventi possano essere preventivamente determinati dal Consiglio della Scuola, visto che ci sono specifiche indicazioni da parte del Ministero.
Le indicazioni Ministeriali, infatti, possono essere così riassunte: Totale interventi da eseguire come primo operatore in 5 anni: 3 alta chirurgia, 20 media chirurgia, 130 piccola chirurgia, per un totale di 153 interventi come primo operatore nell’arco di 5 anni, che equivalgono a poco più di 30 interventi/anno, quindi 2,5 interventi al mese.
È ancor meno chiaro perché l’allegato Ministeriale ritenga sufficiente che un numero così limitato di interventi, eseguiti come primo operatore, possa soddisfare le necessità di formazione. Certo, è auspicabile che la maggioranza delle scuole di specializzazione offrano curricula ben più consistenti, ma perché legittimare una casistica così limitata e limitante?
Essere il primo o secondo operatore, o partecipare/osservare ha la sua importanza, ma certamente esiste una differenza tra i vari ruoli. Il numero richiesto di interventi di alta, media e piccola chirurgia (30 + 80 + 325) ammonta ad un totale di 435 con una media di 87 interventi/anno = 7/mese. Ma abbiamo visto che le linee guida come primo operatore, proposte e necessarie per ultimare la specializzazione, sono una frazione dei 435 interventi totali. Non è necessariamente il numero totale di casi il problema, ma il fatto che si partecipi come operatore primario solo in una frazione di essi.
Lo specializzando che partecipa ai 435 casi, come dicevamo, sarà impegnato, in media, per 7 casi/mese. E il resto del tempo come verrà utilizzato? Vi è una discrepanza tra le ore designate per la parte prettamente operativa e quelle non operative, cliniche, di ricerca? Questa impostazione riflette poi l’eventuale pratica ospedaliera?
Uno specialista in chirurgia in Italia riceve sempre una buona formazione?
Forse sarebbe auspicabile che le linee guida di formazione fossero rappresentate da una casistica per tutte le scuole di specializzazione capace da garantire quella formazione necessaria affinché venga raggiunto quel profilo specialistico e gli obiettivi e i relativi percorsi didattici funzionali per il conseguimento delle necessarie conoscenze culturali ed abilità professionali come richiesto dalle direttive Ministeriali.
Siamo sicuri che le attuali casistiche minime siano sufficienti per ottenere la competenza richiesta?
Abbiamo in definitiva analizzato due sistemi di formazione completamente diversi, quello Italiano e quello Americano:
- Ore di lavoro: 34+4 vs 80
- Numero di casi come primo operatore: 150 vs 850
- Numero casi a cui si partecipa: 435 vs +1000
- Retribuzione: €25.000 vs $60.000
Forse si pone troppa enfasi sulle ore di lavoro, considerando meno la “loro produttività“. Cosa si apprende in queste ore? Il chirurgo neo-specialista viene preparato in termini di autonomia ed abilità operative? È pronto ad entrare nel mondo del lavoro con la necessaria preparazione ed esperienza clinica?
Esperienza clinica che ovviamente andrà perfezionandosi con gli anni, ma la cui formazione di base deve essere completata durante la specializzazione e non delegata a periodi susseguenti.