Italia e Uruguay pronte a sfidarsi nel rugby ma non solo. Domani, infatti, si giocherà la seconda partita dei Mondiali in Francia ma in campo non scenderanno solo i giocatori. Aleggerà per tutto il match lo spirito combattivo di quei sopravvissuti al disastro delle Ande avvenuto nel 1973 che, esattamente vent’anni dopo, è diventato l’iconico film “Alive” con Ethan Hawke (padre della lanciatissima Maya) e Vincent Spano. Un passaggio inevitabile quando si declina questo sport al paese dell’America Meridionale, un po’ perché si tratta di una disciplina abbastanza recente da quelle parti (comparve solo nel 1951) e un po’ perché quella ferita non si è mai rimarginata del tutto. Quando l’uomo è chiamato a superare i propri limiti fisici ed etici, può fare la differenza affrontare la prova in squadra invece che solo. Ecco come, a distanza di tutti questi anni, questo tema si presenta ancora caldo e attuale.

Italia Uruguay rugby sopravvissuti, il film culto

Per chi è cresciuto negli anni novanta la pellicola di Frank Marshall è una vera pietra miliare. Narra dell’incredibile storia vera di una squadra uruguaiana universitaria di rugby che si schianta sulla cordigliera delle Ande mentre è in viaggio aereo verso il Cile per giocare una partita. Inizia così una lotta contro una natura selvaggia fatta di ghiacci sempiterni, temperature inaccessibili e graduale mancanza di acqua e cibo. E proprio su quest’ultimo passaggio verte la forza narrativa del film che l’imminente partita dei Mondiali in Francia riporta alla memoria. Fino a dove è lecito spingersi per sopravvivenza? Una domanda esistenziale a cui risponde con i fatti il capitano Marcelo Perez che, come fosse in campo, organizza e guida i suoi uomini verso la meta più difficile, quella che porterà 16 persone ad arrivare vive dopo 72 giorni di follia su quelle vette. Se il fine giustifica i mezzi, quello che hanno fatto i giocatori dell’Old Christian Club va ben oltre l’immaginazione. La cronaca spiega, infatti, che i sopravvissuti si sono cibati dei corpi delle vittime dello schianto. Un’apparente barbarie ancora più raccapricciante se si considera la forte matrice religiosa dei soggetti in causa. Ma l’Uruguay ha saputo mettere da parte il ragionamento a codice binario del giusto/sbagliato puntando invece solo a rendere omaggio a chi ha lottato fino allo stremo per la propria esistenza,

Il peso dello sport nella vicenda

Quando si accosta una palla ovale ai colori del paese sud americano, questa storia riemerge in tutta la sua forza ed è importante continuare a raccontarla. Perché moltissimi psicologi concordano nel sottolineare il ruolo chiave che il rugby ha avuto nella salvezza dei 16 superstiti. Ecco come lo spiega un articolo de Il Messaggero:

“Fosse stato un normale volo di linea, non ci sarebbe stato alcun superstite. Quella era invece una squadra di rugby con ruoli, gerarchie e strategie ben stabilite e solide. Il gioco di squadra, il sostegno, la solidarietà tra forti e meno forti hanno costruito il miracolo. E gli scarpini con i tacchetti come ramponi si sono rivelati indispensabili per valicare i ghiacciai delle Ande nei dieci giorni di marcia che permisero a Canessa e Pàrrado di arrivare a valle per trovare soccorsi.”

Doppio appuntamento col tabù domani. Quello dei confini superati dai giocatori in questa incredibile vicenda e quello delle società sportive che sono chiamate entrambe a scrivere pagine inedite della loro storia. L’Uruguay non ci ha mai battuto in un confronto diretto mentre l’Italia non è mai approdata ai quarti di finale di un mondiale. Motivi validi per tenere alte le ricerche su Google della combinazione “Italia Uruguay rugby sopravvissuti”.

Ecco il trailer di “Alive – Sopravvisuti”: