Theodore Kaczynski, meglio conosciuto come Unabomber, ha terminato la sua esistenza in una prigione federale del North Carolina all’età di 81 anni, lo scorso 10 giugno. La sua lunga ombra di terrore e al contempo la sua brillante intelligenza lo hanno reso un’icona nella storia criminale degli Stati Uniti. Mentre alcuni lo vedono come un rivoluzionario solitario, altri lo considerano un pericoloso terrorista. Ciò che è indubbio è il fatto che il suo impatto sulla società è stato profondo e duraturo. Ventotto anni fa, il 19 settembre 1995, il Washington Post pubblicò sulle sue pagine il manifesto di Unabomber: quali furono le conseguenze di quell’atto.

Unabomber e il suo manifesto: chi era Theodore Kaczynski

Da ragazzo prodigio a matematico di Harvard, Theodore Kaczynski ha sempre mostrato una brillantezza eccezionale. Terminato il percorso di studi in anticipo, ha iniziato la sua carriera universitaria all’età di sedici anni presso la prestigiosa Università di Harvard. Nel corso degli anni, ha anche insegnato come professore, prima all’Università del Michigan e poi all’Università di Berkeley. Tuttavia, qualcosa lo tormentava costantemente: una crescente avversione per la società industriale. Un’inclinazione che lo ha infine spinto a isolarsi, trasferendosi in una piccola abitazione nel Montana.

Una lunga campagna di terrore

Il periodo tra il 1978 e il 1995 ha visto Kaczynski trasformarsi da un erudito isolato a un pericoloso terrorista, inviando numerosi pacchi bomba che hanno causato tre decessi e numerosi feriti. La sua capacità di evitare la cattura per così tanto tempo ha dimostrato la sua astuzia e la sua meticolosità.

Il manifesto di Unabomber: pubblicarlo o no?

Gli editori dei principali giornali, The Washington Post e The New York Times, si trovarono di fronte a un dilemma senza precedenti. Dovevano decidere se pubblicare il manifesto di Unabomber, come richiesto dallo stesso, prima di una scadenza critica. Il rischio era alto, dato che Unabomber aveva minacciato di inviare un altro dispositivo esplosivo mortale se non avessero acconsentito.

Leonard Downie, allora direttore esecutivo del Post, ha ricordato la tensione e le considerazioni fatte durante quella fase. Era una battaglia tra garantire la sicurezza pubblica e non cedere alle richieste di un terrorista. Nel contempo, la redazione osservava, in attesa di direzione, con sentimenti di ansia e preoccupazione per la loro integrità giornalistica.

Il dibattito interno dei giornali riguardava non solo la decisione di pubblicare, ma anche come presentarlo. L’obiettivo era evitare di glorificare Unabomber e, al contempo, fornire un contesto informativo ai lettori.

Durante un incontro, fu proposta un’idea innovativa: presentare il manifesto come un inserto separato, con un design e un layout distintivi. Così, mentre il Post procedeva con la pubblicazione, il Times si asteneva, contribuendo comunque a sostenere i costi di stampa.

Alla fine il manifesto di Unabomber fu pubblicato

Dopo molteplici incontri nella sede dell’FBI, e con il consenso di importanti funzionari federali, il Post decise quindi di andare avanti con la pubblicazione, sperando che potesse portare a nuovi indizi e potenzialmente mettere fine alla serie di attacchi dell’Unabomber. E così fu.

Il 19 settembre 1995, un manifesto lungo 35.000 parole emerse sulle pagine del Washington Post, invocando un cambiamento radicale contro la crescente ondata di tecnologia. Il suo scritto “La società industriale e il suo futuro” rivelò al mondo la sua profonda critica alla modernità. Kaczynski considerava la rivoluzione industriale e i suoi derivati come dannosi per l’essere umano e per l’ambiente. La tecnologia, sosteneva, aveva alienato le persone, portandole lontano dalla loro essenza e creando sofferenza e oppressione.

Il manifesto non passò inosservato. La potenza delle parole e lo stile di scrittura all’interno del testo colpirono David Kaczynski. Vi era una familiarità inquietante con le lettere che aveva ricevuto da suo fratello, Ted Kaczynski.

La cattura di Theodore Kaczynski

Trovandosi di fronte a una scelta angosciante, David decise di agire. Raccontò in seguito di come avesse pesato il rischio di ulteriori vittime innocenti contro la possibilità che suo fratello, se catturato, potesse affrontare la pena di morte. Tuttavia, la prevenzione della violenza divenne la priorità. Assieme a sua moglie, si rivolsero a un avvocato e portarono le loro preoccupazioni all’FBI.

La lunga e costosa caccia all’uomo si è conclusa nel 1996 quando Kaczynski venne rintracciato e arrestato nella sua umile dimora in Montana, proprio grazie alle informazioni fornite dal fratello David e dalla moglie di quest’ultimo, Linda Patrik. Nonostante il suo aspetto trasandato e la sua vita da eremita, la società non potrà mai dimenticare l’Unabomber come la mente criminale che era.

L’eredità di Unabomber

Sebbene molti lo abbiano etichettato come un terrorista, c’è chi lo vede come un visionario. Kaczynski ha senza dubbio segnato una generazione, ponendo domande difficili sulla tecnologia e la direzione in cui si stava dirigendo la società. La sua critica all’industrializzazione e alla tecnologia rimane rilevante anche oggi, quando discutiamo delle implicazioni etiche e sociali dell’innovazione.