Claudio Baglioni dimostra ancora una volta che essere artisti presuppone esporsi e dire delle cose sui temi della società civile, lo ha fatto senza alcun timore in un incontro notturno iniziato quasi all’1 di notte dove, oltre che a citare il suo spettacolo “A tutto cuore” al via il prossimo 21 settembre al Foro Italico di Roma, è tornato sul tema dei migranti a Lampedusa. Lo ha fatto per amore di un luogo dove ha acquistato casa e dove torna per mesi ogni estate. Lo ha fatto con la cognizione di chi sa come sia la situazione, con la freddezza analitica di non dare la colpa a chi viaggia dall’Africa e di chi è stanco di sentirsi solo a respingere quella che sta diventando nei numeri un’ “invasione”. Pacifica, ma pur sempre una marea umana che sta mandando al collasso l’hotspot dell’isola.

Claudio Baglioni su Lampedusa, il video dove parla dell’emergenza migranti

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Claudio Baglioni rispondendo a TAG24 non si nasconde e parla di una situazione a Lampedusa collassata anche perché chi se ne sarebbe dovuto occupare tempo fa ha preferito fare finta di non vedere: “La storia ci mette il conto davanti, la geografia non la possiamo cambiare. Con il senno di poi se avessimo messo mani e pensieri 25 anni fa non saremmo arrivati a questo punto, ora sono cavoli per tutti. Bisogna attrezzarsi per trovare una soluzione, senza che questi argomenti diventino ancora una volta materia per scopi elettorali sennò non se ne esce”, poi spiega che non si può condannare nessuno dei suoi fronti di quella che sta diventando una vera guerra “Questi problemi ci sono anche tra Stati Uniti e Messico ed in altri punti del mondo. Le persone ci sono e il sistema generale crea scompensi, tutti cerchiamo una soluzione migliore per la nostra vita e non possiamo condannare nessuno. Ma non possiamo neppure condannare chi non ne può più, è come nella guerra della ninna nanna di Trilussa”.

Claudio Baglioni cita poi la sua rassegna O Scia, nata nel 2002 e diventata per anni un faro su un’emergenza silenziosa prima diventasse di interesse mediatico: “Con quella rassegna abbiamo provato ad informare un’opinione pubblica lontana che stavano accadendo delle cose, forse era inevitabile perché una soluzione vera nessuno l’ha mai messa in atto”, poi non cade nella provocazione di attaccare chi ha contribuito a porre fine a quell’esperienza “I contributi pubblici ce li dovevamo faticare ogni anno, è stata una delusione perché pensavamo di aver costruito qualcosa di davvero importante e diverso da tutte le altre manifestazioni. Il problema era battersi con il torneo di bocce di turno…quando chiedi contributi statali ti devi mettere in gara con altre manifestazioni, eravamo convinti di aver costruito qualcosa di bello. Siamo arrivati a Bruxelles, ho trovato tracce in tutto il mondo con la conoscenza in molti paesi. È finita perché tutte le cose devono finire, io confesso di sentirmi un po’ sconfitto”.

Claudio Baglioni non si nasconde neppure quando lancia frecciatine a qualche suo collega: “Bisogna diffidare quando un artista si mette in qualche causa, in fondo alcuni di noi trovano imperdonabile persino il proprio successo e devono giustificarlo. Lo inseguiamo per tutta la vita, ma è anche scomodo. Se hai successo vieni visto male, allora ci appoggiamo su delle cause. Noi siamo dei trombettisti che suonano la carica”. Ancora su O Scia ricorda quanto di buono costruito, soprattutto sul fronte di un dialogo ormai pericolosamente silenzioso con le urla silenziose delle polemiche a prendere il sopravvento: “Siamo però riusciti tre governi diversi a fare quella manifestazione. Mettevamo insieme allora le ONG facendo dibattiti e nessuno litigava, almeno c’era la buona volontà del parlare. Si ascoltava invece di preparare già la risposta. Ora ci sono persone preposte a risolvere il problema, ma spero che l’opinione pubblica guardi quello che accade a Lampedusa con attenzione perché sono state dette cose inesatte”.

Su questa ultima frase parte un attacco, non tanto alla politica quanto all’informazione dei tuttologi che parlano senza aver toccato con mano, a differenza di lui che continua a passare a Lampedusa il suo tempo: “Le cose inesatte sono in tutti i campi, la televisione ci ha abituato a dare voce a qualsiasi cosa. Ci sono 30-40 giornalisti che parlano di qualsiasi cosa, tutti sono maestri di vita ma fa impressione questa loro capacità. Questo è il punto. Lampedusa fino a 30 anni fa non era nelle previsioni del tempo, non sapevamo neppure dove fosse”, poi manda una carezza a quelli che considera ormai i suoi concittadini: “La popolazione è fatta da persone che abitano isole di alto mare con intorno miglia di mare. Uno scoglietto più vicino all’Africa che alla nostra penisola. Io alcune cose le ho viste o me le hanno raccontate, sono sempre stati disponibili al soccorso di un’altra persona. Diversa è la gestione di questa storia che è diventata più grande di tutti noi. Credo davvero che sia molto complesso, io ho solo cercato di informare”. 

Il messaggio per l’Ucraina

Durante l’esibizione di “Mal d’AmoreGiuliano Peparini regala un quadro meraviglioso con dei lunghi strascichi gialli, che si fondano sul blu nei vestiti dei ballerini chiaro riferimento all’Ucraina, seppur il coreografo nega che sia stato un messaggio politico studiato a tavolino: “La mia è stata una scelta d’istinto, con Claudio volevamo parlare di libertà in questo brano. La scelta del giallo e dell’azzurro è nata perché sono due colori che mi piacciono, poi questo rosso di sfondo che richiama alla sofferenza è stata una contaminazione. Io mi faccio guidare da ciò che mi circonda, non c’era volontà di fare un’allusione all’Ucraina a priori. Non nego però di esserne però stato felice quando ho visto il quadro”.