A un anno dall’insediamento del governo Meloni è tempo di primi bilanci. Se però la maggioranza è piuttosto compatta nell’enfatizzare i risultati raggiunti e la coesione dell’esecutivo – nonostante i crescenti distingui interni, specialmente tra FdI e Lega – i partiti di opposizione sono di diverso avviso.

A confermare l’insoddisfazione dei partiti di minoranza – e in particolare del Pd – circa la direzione dell’Esecutivo c’è anche il deputato dem Piero De Luca che, in questa intervista esclusiva, ha analizzato con TAG24 i principali errori del Governo e riflettuto sulle battaglie che caratterizzeranno la prossima azione del Partito democratico.

Primo anno di governo Meloni, De Luca: “La premier ha disatteso tutte le promesse. Il Pd continuerà a fare battaglia “

La critica al primo anno di governo Meloni si muove, nell’opinione dell’onorevole Piero De Luca, dalla constatazione di un azione governativa «solo emergenziale e mai strutturale». Considerazione, questa, confermata dall’analisi dei principali dossier passati sul tavolo dell’Esecutivo in questi primi 365 giorni di guida del Paese.

Dal tema dei migranti alla gestione del Pnrr, passando per gli affari economici sociali, De Luca denuncia infatti la non aderenza tra le promesse elettorali della premier Meloni e la capacità di mettere a terra reali soluzioni.

Onorevole De Luca, come giudica l’operato del governo Meloni a un anno dal suo insediamento?

«Il nostro punto di vista è di un anno profondamente al di sotto delle aspettative e assolutamente fallimentare. In quest’anno il Governo ha agito sempre in via emergenziale, seguendo l’onda dei principali fatti di cronaca. Basti pensare al decreto Rave e a quello che noi ci rifiutiamo di definire decreto Cutro. Nessun problema del Paese è stato affrontato in senso strutturale.

Un esempio emblematico, a mio avviso, è dato dall’incapacità di confermare il taglio sulle accise sulla benzina che il governo Draghi aveva messo in campo nella scorsa legislatura. Stesso discorso per la messa in campo di misure in grado di sostenere il potere di acquisto delle famiglie e combattere l’inflazione.

Il dato più grave, dal nostro punto di vista, è quanto fatto – o non fatto – sul Pnrr, nei fatti insabbiato da questo esecutivo».

A che punto è il Pnrr?

«Il Pnrr che doveva servire a rilanciare il Paese e a rimettere in piedi alcuni comparti e settori particolarmente in difficoltà, come la sanità. Invece è sostanzialmente fermo: gli interventi per la scuola, per gli asili nido, per le periferie sono tutti rallentati.

Non a caso, l’erogazione della terza rata che riguardava i 55 obiettivi del 2022 è slittata ai giorni scorsi. I 19 miliardi previsti sono diventati poi 18.5 a causa del mancato raggiungimento dell’obiettivo per gli alloggi universitari.

La quarta rata, che doveva essere richiesta raggiungendo i target entro giugno, non è stata ancora né richiesta né si è avviata la procedura di verifica necessaria per ottenere i fondi. Il Governo quest’anno ha poi proposto la modifica di 144 obiettivi, praticamente più di un terzo di quelli mancanti.

Il fatto più clamoroso, infine, è arrivato con la cancellazione dei fondi già finanziati per la riqualificazione urbana. Parliamo di 16 miliardi di euro di investimenti. Con quale coraggio la maggioranza parla di sicurezza e poi cancella i progetti destinati alle periferie? Come se non bastasse il Governo ha cancellato 500 interventi destinati a ospedali e case di comunità, anche questi già finanziati e poi incomprensibilmente annullati.

Mi sembra chiaro che sull’attuazione del Pnrr ci sia stata una gestione fallimentare molto grave. Grave, soprattutto, se pensiamo a quali erano gli obiettivi del Piano e a quali benefici avrebbe tratto il Paese».

Parliamo di immigrazione. Anche in questo campo il Governo si è rivelato, a suo giudizio, inadatto?

«Sì, e lo stiamo vedendo in queste ore. Per anni la destra all’opposizione ha lanciato proclami sull’esigenza di chiudere i porti e di ingaggiare battaglie navali nel Mediterraneo. Oggi però questa propaganda si è sciolta come neve al sole.

Stiamo assistendo non solo all’incapacità organizzativa del Governo – che non riesce a gestire sul territorio nazionale i flussi in arrivo a Lampedusa – ma anche al fallimento della politica estera ed europea. Dopo anni di battaglie contro l’Europa, i partiti di maggioranza si sono resi conto che un fenomeno complesso quale quello migratorio non può essere governato contro l’Unione Europea ma con l’Unione Europea.

Oggi i sindaci sono lasciati soli; l’accoglienza diffusa è stata smantellata per creare dei maxi centri in cui il rispetto dei diritti umani è a rischio.

Le proposte del Pd vanno in direzione opposta. Noi chiediamo che sia superato il regolamento di Dublino e che tutti gli Stati debbano farsi carico in via strutturale della gestione dei migranti che giungono in Italia. Fino ad oggi, però, il superamento di questi accordi è stato reso impossibile soprattutto per via delle posizioni dei paesi di Visegrad, ovvero gli alleati di Meloni e Salvini.

Detto questo, è evidente che c’è necessità di strutturare dei canali legali di ingresso regolare in Europa, per non lasciare nelle mani di trafficanti senza scrupoli la vita di chi fugge. Bisogna poi aprire una operazione di salvataggio europea, una Mare Nostrum comune. Occorre infine avviare canali di investimento e dialogo con i Paesi dell’Africa, a condizione tuttavia che queste interlocuzioni non siano condotte con i Paesi che non rispettano i diritti umani e i diritti civili»

La premier Meloni sostiene di aver cambiato il paradigma europeo in tema di immigrazione. È così?

«La realtà è che è la destra ad aver cambiato approccio, con una vera e propria inversione a U. Prima di arrivare al governo parlavano di muri e barriere, non di gestione condivisa. Mi verrebbe da dire meglio tardi che mai. Il punto però è che questo cambio di narrazione si scontra con delle evidenti spaccature interne ai partiti di maggioranza. Basti pensare a ieri: Salvini con Marine Le Pen a Pontida, la Meloni a Lampedusa con la von der Leyen. Come si può definire l’orientamento della maggioranza lineare?».

.Quali battaglie il Pd metterà al centro nel suo ruolo di opposizione in questi prossimi mesi?

«La prima è quella legata al salario minimo. In Italia le retribuzioni sono ferme da trent’anni e i salari, anziché crescere, si sono addirittura ridotti. Abbiamo la necessità di sostenere gli oltre tre milioni e mezzo di lavoratori che, pur essendo occupati, percepiscono stipendi miseri.

L’altra grande battaglia prioritaria per il Pd è quella legata alla sanità pubblica. Il Governo, per la prima volta dopo anni, ha ridotto in via tendenziale la spesa sanitaria al di sotto del 7% del Pil. La lezione appresa con il Covid ci impone invece di rafforzare le reti territoriali sanitarie e la sanità pubblica, investendo nella telemedicina nelle case di comunità e gli ospedali di comunità.

Oggi mancano all’appello i quattro miliardi richiesti dal ministro della Salute Schillaci. Noi chiediamo che la direzione sia invertita e che si mettano più risorse a disposizione della sanità, sbloccando parallelamente le assunzioni nel comparto sanitario ed evitando la pratica dei gettonisti.

La verità, però, è che noi abbiamo nella sanità pubblica e universale un punto fermo. A destra forse si guarda al modello Lombardia che delega la cura della persona e della vita ai privati.

Certamente, infine, continueremo a batterci per quelle famiglie che sono state lasciate a se stesse e avvisate da un giorno all’altro della fine del reddito di cittadinanza. Noi crediamo che questo strumento andasse potenziato, soprattutto per creare percorsi reali di formazione e inserimento lavorativo, e non eliminato senza prevedere alcuna rete di protezione sociale»

Il Pd continuerà ad opporsi alla proposta di autonomia differenziata del ministro Calderoli?

«Certamente sì. Questa riforma aumenta le distanze e le diseguaglianze tra il nord e il sud del Paese. Procedere poi alla devoluzione di alcune competenze alle regioni senza finanziare prima i livelli essenziali delle prestazioni è inimmaginabile.

Allo stesso modo ci opporremo al decreto sulla Zes unica del ministro Fitto, vera e propria azione di propaganda controproducente nei fatti. Contrariamente al titolo suggestivo, infatti, questo decreto cancellerà nella sostanza uno strumento utilissimo per il Mezzogiorno. Insomma, abbiamo tantissime battaglie di fronte e non ci sottrarremo a nessuna di queste».

Renzi ha affermato di essere l’unica opposizione al governo Meloni nel Paese. Vuole commentare?

«Io parlo per il Partito democratico che sta cercando di creare un campo comune di battaglia che possa caratterizzare l’opposizione al Governo. Da questo punto di vista stiamo facendo il massimo. Ovviamente si tratta di un lavoro da portare avanti con sempre più determinazione, mettendo in campo delle proposte alternative a quelle della maggioranza.

Il nostro ruolo è sicuramente denunciare l’inefficienza e l’inadeguatezza del Governo, ma non solo. L’obiettivo è costruire un’alternativa credibile di Governo che possa essere maggioranza tra i cittadini, presentando proposte serie e concrete che rispondano alle esigenze del Paese».