Cos’è la distrofia miotonica? La patologia ha un decorso progressivo e colpisce la capacità di rilassare i muscoli in maniera volontaria. Ecco quali sono le cause e quali sono i sintomi dell’insorgere di questa malattia.

Cos’è la distrofia miotonica: colpisce 1 persona su 8.000

La distrofia miotonica è una malattia genetica neuromuscolare degenerativa. È una patologia non rara e, nel campo delle distrofie muscolari, è seconda come numero di casi solo alla distrofia muscolare di Duchenne. Si trasmette da un genitore già affetto, indipendentemente dal sesso. La probabilità di ereditare il gene responsabile della patologia è del 50%.

La malattia colpisce la capacità neuronale di controllare i movimenti volontari dei muscoli. In concomitanza con altre patologie, come il diabete mellito di tipo 1, la distrofia miotipica può interessare anche la muscolatura involontaria e di conseguenza creare gravi problemi al tratto gastrointestinale e dell’utero con manifestazioni cliniche di disfagia, stipsi e problemi durante il travaglio e il parto.

Il termine miotipica indica la difficoltà appunto di rilasciare i muscoli una volta averli contratti. Questa malattia è multisistemica, vale a dire arriva a coinvolgere altri organi come il cuore, l’apparato respiratorio, gli occhi, le ghiandole sessuali, il sistema endocrino e quello nervoso centrale.

Distrofia miotipica di tipo 1

La distrofia miotipica può essere di due tipologie diverse. Seppur simili in alcuni sintomi, le due forme hanno una differente distribuzione della debolezza muscolare.

La prima, denominata di tipo 1 o DM1, riguarda all’incirca il 98% dei casi ed è anche conosciuta come malattia di Steinert dal ricercatore che per primo la individuò nel 1909.

Si tratta della forma più grave. Colpisce generalmente gli arti e il volto, coinvolgendo i muscoli distali, assiali, facciali, faringei e respiratori. Fa il suo esordio in pazienti tra i 15 e i 30 anni e può portare a gravi conseguenze oppure rimanere quasi asintomatica.

Il responsabile della distrofia di tipo 1 è un’anomalia nel gene DMPK (myotonic dystrophy protein kinase) sul cromosoma 19. Prima si manifesta la malattia e più probabilità ci sono che questa si sviluppi in stadi gravi. Il soggetto può infatti presentare deformità scheletriche, debolezza facciale, ritardi dello sviluppo psicomotorio, difficoltà respiratorie e nell’alimentazione. Aritmia e insufficienza respiratoria possono portare alla morte, specie in età infantile dove il 40% dei soggetti colpiti non sopravvivono.

Distrofia miotipica di tipo 2

La distrofia miotipica di tipo 2, o DM 2 o malattia di Ricker è stata individuata solo nel 1994. Colpisce prevalentemente i muscoli facciali e quelli vicini al busto. Si registra una marcata debolezza muscolare alle cosce, ai flessori, alla nuca, nelle braccia e delle spalle e si manifestano tremori ed ipertrofia dei polpacci.

Questa versione fa il suo esordio più tardi, in genere intorno ai 40 anni e non è congenita. La causa è da imputare alla mutazione del gene CNBP/ZNF9 sul cromosoma 3. In questo caso la prematura insorgenza non denota un’evoluzione grave della patologia. L’aspettativa di vita può anche essere normale.

I sintomi più frequenti vanno dai dolori muscolari e da una diffusa debolezza a nistagmo, disfagia e dolore addominale.

DM1 e DM2 sono disturbi differenti che richiedono dunque diverse strategie diagnostiche e terapeutiche.

Diagnosi e trattamento

In entrambi i casi la diagnosi avviene con certezza solo con elettromiografia e, se prenatale, dall’analisi genetica. I sintomi rivelatori della malattia sono un ritardato rilassamento del muscolo dopo la contrazione e la caduta delle palpebre.

Il decorso della malattia può portare a cataratta, infertilità con testicoli piccoli, diabete e ipotiroidismo, nonché ritardo cognitivo e disturbi del comportamento.

Si può poi arrivare ad una progressiva riduzione della capacità vitale a causa della quantità di aria emessa dopo un’inspirazione forzata.

Le speranze di vita sono generalmente basse: la morte statisticamente arriva entro i 54 anni ed è causata da complicanze cardiache e polmonari.

La ricerca medica non ha ancora individuato un trattamento farmacologico efficace al contrasto della malattia. La terapia consiste quindi nell’alleviare i sintomi e prevenire le complicazioni cardiologiche, endocrinologiche, respiratorie, fisiatriche e ortopediche. Il paziente dovrà perciò sottoporsi a regolari controlli cardiologici e non è raro che sia necessaria l’installazione di pacemaker.

La contrazione dei muscoli può invece essere alleviata con farmaci miorilassanti o stabilizzatori di membrana, mentre non c’è una contromisura per la debolezza che porta progressivamente alla disabilità motoria.