Istituita dall’Onu nel 2019, la Giornata internazionale della parità retributiva ha un ruolo molto importante oggi in quanto, come si può ben intuire dal nome, mette sotto i riflettori tutti gli sforzi che sono stati fatti finora e tutti quelli ancora da fare in futuro affinché uomini e donne abbiano salari uguali. Questo speciale evento mira ad eliminare ogni forma di discriminazione basata sul genere che viene fatta sul luogo di lavoro.

Giornata internazionale della parità retributiva 18 settembre 2023

Ancora oggi è fondamentale parlare e celebrare la Giornata internazionale della parità retributiva. E questo perché ancora troppo spesso le donne vengono pagate di meno rispetto agli uomini sia in Italia sia in molte altre parti del mondo. A livello globale si pensa infatti che le lavoratrici siano pagate circa il 20% in meno rispetto ai lavoratori.

Per quanto riguarda l’Unione Europea la percentuale si abbassa al 13-14%, con variazioni importanti in base ai Paesi in cui ci si trova. In Italia, secondo un’indagine di Eurostat del 2020, le donne in media vengono pagate il 16,5% in meno rispetto agli uomini.

Capiamo dunque che è molto importante mettere in campo delle attività e delle politiche per contrastare questo fenomeno. Le persone di sesso maschile, tra l’altro, spesso e volentieri vengono valorizzate meglio in termini retributivi sia nel breve che nel medio e lungo periodo.

Si tratta, insomma, di una situazione non equa, ingiusta e non corretta sia dal punto di vista economico che dal punto di vista sociale. La Giornata internazionale della parità salariale ha l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione mondiale su quello che viene definito gender pay gap, ovvero il divario salariale tra uomini e donne nel mondo del lavoro.

Perché è importante?

Sia in Italia che in Europa la parità salariale è stata approvata per legge. Dall’altro lato però, in molte occasioni, essa non viene rispettata. La sua applicazione nella pratica purtroppo è ancora molto difficile. Nel nostro Paese i miglioramenti su questo fronte procedono tanto, troppo a rilento.

L’Italia nella classifica mondiale si posiziona al 63esimo posto per parità retributiva tra uomo e donna. In Europa occupa invece il 25esimo (su 35). Lo rivela una ricerca condotta dagli esperti del World Economic Forum del 2022.

È chiaro ed evidente a tutti che spesso e volentieri sul luogo di lavoro esistono ancora discriminazioni e svantaggi che colpiscono principalmente le persone di sesso femminile e avvantaggiano dall’altra parte quelle di sesso maschile.

Insomma, oggi più che mai è prioritario accelerare tutto il processo di eliminazione del gender pay gap. La stessa Commissione Europa si è già mossa in questo senso e continua a farlo, promuovendo politiche di trasparenza delle retribuzioni. In che modo? Ad esempio obbligando le aziende a pubblicare i dati sugli stipendi dei propri dipendenti oppure eliminando il segreto salariale.

L’analisi sul gender pay gap

Non è semplice contrastare il gender pay gap, anche perché esso è dovuto ad un insieme di fattori che non riguardano solamente il mondo del lavoro. In ogni caso, per avere un quadro più completo bisognerebbe guardare al divario retributivo complessivo.

Esso tiene in considerazioni tre elementi combinati tra di loro:

  • La retribuzione oraria media
  • La media mensile del numero di ore retribuite
  • Il tasso di occupazione

Molteplici sono le cause dei divari. Il tema è comunque molto complesso. Come spiega un’analisi degli esperti del Parlamento europeo, in alcuni Paesi Ue

divari retributivi più bassi tendono ad essere collegati a una minore partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Al contrario, divari più alti tendono a essere collegati ad un’elevata percentuale di donne che svolgono un lavoro part-time o alla loro concentrazione in un numero ristretto di professioni.

Chiari a tutti sono invece i benefici che si possono ottenere se si dice addio alla differenza di retribuzione tra uomini e donne. In primo luogo la parità salariale ridurrebbe le discriminazioni di genere. Poi contrasterebbe la povertà e infine stimolerebbe l’economia.