Cosa ha scoperto la prima sonda indiana mai arrivata sulla Luna. Lo storico allunaggio avvenuto lo scorso 23 Agosto ha segnato una data importantissima per la scienza indiana.
Nei successivi 10 giorni il lander Vikram e il rover Pragyan hanno eseguito la prima fase di esplorazione della zona del Polo Sud. Quali sono i dati acquisiti e come proseguirà la missione spaziale?
Sonda indiana sulla Luna: la prima fase della missione
Il lander Vikram e il rover Pragyan hanno setacciato un’ampia porzione del Polo Sud della Luna, prima di essere messi in modalità di attesa per superare la lunga notte lunare. La missione infatti riprenderà il prossimo 22 Settembre in concomitanza con l’alba del nuovo giorno in quella zona.
Al Polo Sud della Luna infatti il giorno dura due settimane terrestri. Non è detto che i due dispositivi tornino a comunicare con la base indiana: possono infatti accadere innumerevoli previsti che interrompano prima del previsto la missione. Tuttavia l’allunaggio e la successiva ispezione ha consentito di ottenere importanti valutazioni e informazioni su questa porzione di Luna. La missione in poche parole è già considerata un grande successo e ha permesso di eseguire notevoli scoperte.
Nessuna alterazione delle onde radio
Le prime analisi hanno confermato che la zona del Polo Sud lunare permetterà di realizzare insediamenti umani, già programmati dell’ Artemis della Nasa, senza incorrere in problemi sulle comunicazioni con la Terra. Il lander indiano ha infatti eseguito la prima misurazione diretta della ionosfera lunare composta da una bolla di plasma, ioni ed elettroni. Ciò è stato possibile grazie allo strumento Radio Anatomy of Moon Bound Hypersensitive ionosphere and Atmosphere – Langmuir Probe (RAMBHA-LP).
Le successive analisi elaborate da Vikram hanno poi convalidato la composizione pressoché rarefatta con una densità elettronica tra i 5 e i 30 milioni di elettroni per metro cubo. Si tratta di un valore nettamente inferiore a quanto si può osservare negli strati più densi della nostra atmosfera che infatti raggiunge una densità elettronica anche di 1 milione di elettroni per centimetro cubo.
La diversa composizione atmosferica valutata a priori aveva infatti fatto temere agli esperti che potesse incidere nel tempo di trasmissione delle onde radio. I dati rilevati in situ invece hanno dimostrato che le variazioni non sono tali da alterare in maniera negativa la ricezione di un segnale dalla Terra.
La temperatura al Polo Sud lunare
Nella missione è stato inoltre usato un altro strumento importantissimo. Si tratta del Chandra’s Surface Thermophysical Experiment (ChaSTE), ovvero una speciale sonda capace con i suoi 10 sensori di rilevare la temperatura al suolo. L’utilizzo della sonda ha permesso di valutare con maggior precisione quale sia la temperatura in questa area, sia sulla superficie lunare ma anche nei primi strati del sottosuolo dato che lo strumento è in grado di arrivare fino a una profondità di circa 10 centimetri.
E qui gli scienziati hanno capito che le ipotesi dalla Terra erano sbagliate. Il lander infatti ha registrato quasi 70 °C mentre contro un valore atteso di circa 20 – 30 da precedenti elaborazioni ottenute dalle misurazioni fornite dal Lunar Reconnaissance Orbiter della Nasa nel 2009. La temperatura invece scende molto velocemente nel sottosuolo con una rapidità superiore a quanto avviene sulla Terra. Già ad 8 centimetri di profondità si registrano -10 °C.
La principale conseguenza di questa scoperta è che è davvero improbabile riuscire a trovare acqua allo stato solido nel suolo del Polo Sud lunare: l’acqua in forma ghiacciata infatti sublimerebbe infatti a -80 °C a causa del vuoto dello spazio.
La scoperta di zolfo
Il rover Pragyan invece ha analizzato l’area di allunaggio, valutando la composizione chimica del terreno attraverso lo strumento Laser-Induced Breakdown Spectroscopy (Libs). I dati hanno mostrato la presenza di zolfo sulla superficie lunare e ciò era di impossibile previsione senza una diretta misurazione al suolo.
Si tratta di un’importante scoperta legata a capire come il nostro satellite si sia formato. L’abbondante presenza di zolfo dimostrerebbe che inizialmente la Luna fosse ricoperta da uno strato di rocce fuse, che si sarebbero poi cristallizzate nel raffreddarsi. Il successivo sgretolamento di questi minerali avrebbe generato la regolite che ora ricopre la Luna. Tuttavia saranno necessarie ulteriori valutazioni per supportare questa versione. Non è infatti per ora escluso che lo zolfo misurato possa provenire dall’impatto al suolo di meteoriti.