Cos’è il virus Nipah? Sebbene si tratti di un agente infettivo poco contagioso, l’infezione da virus Nipah determina un alto tasso di mortalità. Negli ultimi giorni sono aumentate le preoccupazioni della diffusione del virus a causa dei casi mortali avvenuti nel Kerala.

Due le vittime: due uomini rispettivamente di 40 e 49 anni. Ad essere attaccate anche altre persone tra cui un bambino di 9 anni. Lo Stato ha così imposto la chiusura di scuole ed esercizi commerciali al fine di confinare il rischio di contagio.

Cos’è il virus Nipah: dove è diffuso

Il Nipah è un virus a RNA appartenente al genere Henipavirus che si trasferisce all’uomo da animali infetti, in particolar modo dai pipistrelli. È ormai conclamato che il virus sia endemico dell’Asia meridionale, dove nel corso degli anni si sono registrati importanti focolai in Malesia, a Singapore, nel Bangladesh ed in India.

Il nome deriva proprio dal villaggio dove per la prima volta venne identificato un focolaio. Era il 1998 e la malattia apparve in un allevamento di suini nel piccolo paese di Sungai Nipah, nella Malesia peninsulare. Ci furono 265 contagi tra la popolazione locale e ben 105 di essi non sopravvissero. Per la maggior parte furono addetti alla macellazione a contatto diretto con i capi di bestiame infetto.

Il focolaio portò all’isolazione del virus nel 1999 tuttavia i relativamente pochi casi riscontrati annualmente non hanno mai giustificato di aumentare la sorveglianza sullo sviluppo del virus. Quel che terrorizza però non è tanto il numero di contagi, quanto il potere letale del virus. La probabilità di superare l’infezione scenderebbe addirittura al 30% in particolari soggetti debilitati per patologie pregresse.

In India, l’infezione che si pensava già debellata da cinque anni è riapparsa in diverse circostanze. La più preoccupante quella che ha mietuto due vittime e provocato il contagio di altre 5 persone.

Sintomi

Generalmente il periodo di incubazione si aggira dai 4 ai 20 giorni dall’esposizione al virus. L’infezione si manifesta con l’insorgere di febbre, malessere diffuso, cefalea, mialgia, mal di gola, nausea e vomito. Non è poi raro che a questi primi sintomi si associno anche vertigini e un senso di disorientamento. Nei pazienti più gravi la patologia evolve in encefalite, che può portare alle convulsioni e al coma.

In alcuni casi è stata evidenziata una polmonite atipica che causa un forte deficit respiratorio. Per contro però alcuni individui sono apparsi positivi al virus ma completamente asintomatici e la malattia è regredita a distanza di settimane dal ricovero.

L’infezione da Nipah virus produce conseguenze neurologiche permanenti anche dopo il superamento della malattia. In oltre il 20% dei sopravvissuti all’encefalite si manifestano convulsioni persistenti, repentini ed improvvisi cambi di umore ed alterazione della personalità.

 Come avviene il contagio

È appurato che il principale responsabile del contagio all’uomo sia il contatto con il pipistrello. L’infezione infatti può avvenire in maniera diretta dai loro escrementi o dal cibo contaminato da essi.

Inoltre il virus può “saltare” dall’animale all’uomo anche per l’esposizione ad ospiti intermedi: i maiali sono particolarmente sensibili al virus ma sono state riscontrate positività anche in gatti, cani e cavalli. Il contagio uomo – uomo è abbastanza improbabile e avviene per l’esposizione ai liquidi del corpo.

Cos’è il virus Nipah: diagnosi e terapia

La malattia viene diagnostica attraverso comuni tecniche di colture cellulari. Non sono presenti in commercio kit di verifica alla positività fai da te, pertanto il test viene eseguito nei pochi laboratori specializzati.

Nella fase iniziale l’infezione dovuta al virus Nipah è difficilmente distinguibile da ogni altra malattia con stato febbrile. Anche l’insorgenza di una polmonite può lasciare preliminarmente il dubbio che questa sia causata da adenovirus o encefalite virale.

Una volta conclamata la positività del paziente, questi devono essere isolati. Il personale a stretto contatto deve pertanto adoperare le più comuni precauzioni per evitare il contagio, come l’utilizzo di visiere facciali, maschere chirurgiche, doppi guanti, camici e sopracamici chirurgici).

La ricerca medica non è ancora arrivata a sintetizzare un farmaco che debelli il virus. La terapia dunque seguirà caso per caso la manifestazione dei sintomi.

Il tasso di mortalità è però decisamente alto e varia tra il 40 e il 70% in base al quadro clinico, alla disponibilità di strutture sanitarie avanzate, all’età del paziente, o alla concomitanza con patologie pregresse come il diabete.