Flavio Insinna ha dovuto dare l’addio a L’ Eredità, certamente non per sua volontà e la notizia è ormai ufficiale da diverse settimane. L’attore tornerà a recitare più spesso in film e fiction, il primo è il lungometraggio per il piccolo schermo dedicato alla vita di Paolo Pizzo in cui interpreta il papà del Campione del Mondo di Scherma. Dopo aver parlato nella conferenza stampa di cui la Rai rappresenti un capitolo troppo importante per lui come tutti gli anni de L’Eredità l’attore ha rilasciato un’intervista esclusiva a TAG24, tornando sull’argomento.
Flavio Insinna parla dell’addio a L’Eredità e di Don Matteo nella nostra video intervista
Flavio Insinna a TAG24 sorride quando gli viene fatto notare che il rispetto per il pubblico e l’autenticità davanti alle telecamere forse sono il motivo per cui è ancora oggi così amato: “Ripensando a tutti gli anni de L’Eredità posso dire di averli messi sempre. Abbiamo attraversato la pandemia, la guerra, abbiamo fatto campagne per raccogliere fondi per l’Unicef e la Croce Rossa ed il pubblico questo lo ha capito stando al nostro fianco. Quando torno a trovare mamma a San Giovanni sono sempre Flavietto, lo sono per tutti. Credo che la frase che identifichi il rapporto con il pubblico de L’Eredità in tutti questi anni sia “Tu ceni a casa mia” quando mi fermavano per strada. In quella frase c’è tutto quello che ho costruito”.
L’attore conferma poi che non lo rivedremo nei nuovi episodi di Don Matteo, per una stagione che sarà ricca di novità con l’arrivo a Spoleto del nuovo commissario interpretato da Eugenio Mastandrea: “Per ora in Don Matteo non tornerò. È una di quelle cose che fanno parte della mia vita e della mia carriera. Quando mi hanno telefonato per fare due puntate lo scorso anno ho chiesto a che ora dovevo essere sul set. Dove c’è Nino vado a recitare subito…”, sottolinea con il sorriso di chi spera in una nuova chiamata per rivivere i ricordi con gli amici di sempre.
Il lavoro fatto in “A Muso duro” e ne “La Stoccata Vincente” sono frutto del suo impegno sociale
Flavio Insinna è radioso quando gli ricordiamo che è il secondo lavoro per la RAI che lo porta a sconfinare nel confine sportivo: “Interpretare il professor Maglio, l’inventore delle Paralimpiedi è stato un regalo. Lui ha creato un qualcosa che ha cambiato delle vite. Lo ricordo con piacere, papà ha fatto il medico al Santa Lucia e mi portava a vedere i ragazzi che giocavano a basket in carrozzina. Mi ha fatto capire la vita vera, ora anche io do una mano per quei ragazzi con il presidente Pancalli con grande presenza umana. Va in onda il film e la produzione di Anele mi ha chiamato subito dopo perché mi volevano come papà di Paolo Pizzo in questa storia straordinaria”.
Il primo incontro tra Flavio Insinno e Paolo Pizzo in realtà è avvenuto ben prima che venisse scelto per questo ruolo, uno strano scherzo del destino: “Qualche anno fa in una delle campagne AIRC per la ricerca contro il cancro ho detto che avrei potuto fare un promo da solo, io ci credo che se la scienza va avanti si guarisce sempre di più. Guardando le foto e leggendo ho pensato che lui come campione del mondo avrebbe potuto avere un valore. Ho incontrato dunque Paolo qualche anno fa e lui mi ha detto “Io sono campione del mondo, ma la coppa più importante è stato essere aiutato dalla ricerca ed essere ancora qua”. Lui aveva già ottenuto il trionfo mondiale della vita”.
Quando gli chiediamo del lavoro con i colleghi di set i suoi occhi si illuminano: “Alessio Vassallo è stato straordinario, ma anche il piccolo Samuele che interpreta Paolo bambino ci ha lasciato a bocca aperto. Lo dico emozionandomi per l’interpretazione. Chi vedrà il film senza sapere nulla della sua storia penserà che avremo scritto un filmone. Ora ritorno ai primi giorni della scuola di teatro, ci chiedevamo se era l’arte ad imitare la vita o viceversa. La vita di Paolo è un film, se pensate che arriva come in Guerre Stellari il maestro Oleg che gli insegna a gestire la forza. Tutto questo serviva come nelle lezioni di Karate Kid“, poi sottolinea che il messaggio che deve arrivare al pubblico non sia retorico “La cosa che mi piace di più è non essere entrato nella retorica del guerriero, sono figlio di un medico che non è riuscito a sconfiggere la malattia. La malattia si sconfigge con l’amore e la scienza, più va avanti la ricerca e più si può guarire. Paolo era un bambino terrorizzato stretto nell’abbraccio della sua famiglia, con la scienza e un pizzico di fortuna ce l’ha fatta. Vorrei che si capisse però che chi non guarisce non ha colpe”.