Sono già 51 i suicidi avvenuti in carcere dall’inizio del 2023. Ogni storia è a sé ma, come sottolinea l’Associazione Antigone, tra le biografie di chi sceglie di farla finita tra le quattro mura di una cella si può ritrovare un filo conduttore di esclusione sociale e abbandono. Con le carceri che stanno diventando, sempre di più, un luogo dove finiscono tutte quelle persone di cui lo Stato non riesce a occuparsi all’esterno.
Suicidi in carcere, la storie degli ultimi due detenuti che si sono tolti la vita
L’Associazione Antigone ripercorre le storie degli ultimi due detenuti che si sono suicidati in cella: uno a San Vittore, l’altro a Regina Coeli. Il primo di 35 anni, con problemi di tossicodipendenza; l’altro di 21, un giovane che viveva per strada e non aveva un lavoro.
Il 35enne veniva da una serie di episodi di autolesionismo, avendo anche grossi problemi psichici. Si è impiccato con le maniche della felpa al letto. Mentre il 21enne era stato arrestato per furto a luglio e messo in isolamento sanitario, in quanto gli era stata diagnosticata la scabbia. Anche lui si è impiccato, usando le lenzuola.
“Il sistema penale non può sostituirsi alle politiche di welfare”
Partendo da queste due storie, l’Associazione evidenzia come il sistema penale non possa essere trattato
come un sostituto delle mancate politiche di welfare, né come uno strumento di prevenzione di comportamenti criminosi, cosa che ha dimostrato di non essere. In questa direzione va, sfortunatamente, anche il recente decreto Caivano.
Per prevenire i reati, conclude Antigone, servono investimenti sullo stato sociale, sulla tutela della salute mentale e sul mercato del lavoro.
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