Ha soli 25 anni, ma sa bene come svolgere il proprio lavoro, Vincenza Repaci, la ragazza che lo scorso 30 agosto, al telefono con il tecnico di Rfi finito sotto inchiesta per l’incidente ferroviario di Brandizzo, aveva ripetutamente negato l’autorizzazione ai lavori dei cinque operai che di lì a poco sarebbero stati travolti e uccisi da un convoglio. In un’intervista al Tg1 ha ora ripercorso gli attimi precedenti alla strage, ribadendo, come aveva già detto in Procura, che non c’erano le condizioni per iniziare le operazioni di manutenzione e sostutizione dei binari.

Le parole della dirigente movimento di turno la sera dell’incidente ferroviario di Brandizzo

Alcuni treni, infatti, erano in ritardo. Per questo, quando i lavoratori della Sigifer di Borgo Vercelli erano scesi sulle rotaie per mettersi al lavoro – dopo aver ricevuto l’ok dello “scorta ditta” e del capocantiere, entrambi sopravvissuti e ora indagati – l’interruzione della circolazione ferroviaria non era ancora stata comunicata.

Lo ha ribadito in un’intervista la dirigente movimento che era di turno a Chivasso e che per ben tre volte, quella sera, aveva negato il consenso per l’avvio delle operazioni.

Gli ho detto di no per tre volte. Di non iniziare i lavori, perché non c’erano le condizioni per dare il via libera,

aveva spiegato la ragazza in Procura. Adesso aggiunge:

Sono dichiarazioni che ho già fatto in Tribunale. Ci sono dei regolamenti che vanno rispettati, anche perché si è ben consapevoli che ci sono delle persone sui binari.

L’incidente, che ha ascoltato in diretta nel corso di una telefonata, la terza, l’ha sconvolta.

È un evento che non si può dimenticare – spiega -. Non è stato semplice, in quelle situazioni bisogna reagire e non dimenticare il proprio ruolo. Sono consapevole di aver fatto il mio lavoro nel migliore dei modi, rispettando il regolamento. Più di quello non avrei potuto fare.

Toccava a Massa, infatti, aspettare per poter dare l’ok. E il caposquadra, Andrea Girardin Gibin, salvo per miracolo, avrebbe dovuto opporsi alla decisione di inviare i suoi uomini sui binari prima del previsto. Entrambi rischiano una condanna per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale.

Al via gli accertamenti sulla scatola nera del treno

Proseguono, intanto, gli accertamenti disposti dalla Procura di Ivrea per fare luce sul caso. Nei prossimi giorni inizieranno gli esami sulla scatola nera del treno. Così come si tenterà di estrapolare informazioni dai telefoni cellulari delle vittime. Agli atti delle indagini è già finito il video ripreso da Kevin Laganà, la più giovane delle vittime, in cui Massa spiegava a lui e ai suoi colleghi come fare nel caso in cui il treno fosse arrivato. Una prassi, secondo alcuni ex dipendenti della ditta coinvolta nell’incidente, per velocizzare i lavori. Se fosse accertato, il numero degli indagati potrebbe, di conseguenza, aumentare.

I sospetti sull’alterazione della scena del sinistro

Dopo aver ricostruito l’esatta dinamica dell’incidente, gli inquirenti si concentreranno anche sugli attimi immediatamente successivi. Sembra infatti che qualcuno abbia attivato, dopo il sinistro, un dispositivo di sicurezza chiamato d.o.b che, simulando il passaggio di un treno, fa scattare il semaforo rosso e che prima, al momento dell’impatto, non c’era (i superstiti hanno sempre parlato di un semaforo verde).

È stato messo per scrupolo, come elemento ulteriore di garanzia, visto che, prima dell’interruzione, avrebbe dovuto passare un altro treno? O si è cercato, in qualche modo, di manomettere la “scena del crimine”? È ciò che, tra le tante cose, si punta a chiarire. Da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Salvini ha già nominato un’apposita commissione di inchiesta.

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