Il fantasma è ancora lì, presente. Un racconto e tanto di più. Il fantasma è un martedì mattina a New York, l’11 settembre 2001. Michele Petragnani Ciancarelli ha ventisette anni e si trova al trentacinquesimo piano dell’American Express Tower, al World Trade Center. Ma è come se si trovasse sulle nuvole. È al centro del mondo, là dove si decide tutto, ed è il suo primo giorno di lavoro.
11 settembre 2001, il racconto del romano Michele Petragnani Ciancarelli che quella mattina iniziava il lavoro all’American Express Tower
“Il giorno precedente – ricorda oggi – i responsabili ci avevano illustrato tutto. In maniera scrupolosa ci avevano presentato tutti gli angoli di quegli uffici. Altrettanto scrupolosamente ci avevano mostrato i sistemi di sicurezza. Con tutte le informazioni che avevo dovuto assorbire, presi quell’aspetto come una pura formalità“.
Michele è arrivato presto perché vuole fare buona impressione. Bello come il sole, sorriso a trentadue denti, pronto a immagazzinare tutto e restituirlo, sotto forma di aneddoti e battute, agli amici e ai familiari rimasti a Roma. Ha davvero l’impressione che tutto stia per cambiare. E ha ragione. Purtroppo. Sta sistemando la cancelleria sulla sua scrivania, quando il gigantesco boato di uno schianto gli riempie i sensi. Sì, perché non c’è solo l’udito. Lo schianto puoi sentirlo, respirarlo, ti riempie le viscere e puoi vederlo.
Il primo forte boato. La Cnn parla di un bimotore contro una delle due torri
L’American Express Tower si trova infatti a una cinquantina di metri in linea d’aria con la Torre Nord del World Trade Center. “Vidi i primi segni di distruzione. Vidi poi l’acciaio e persino i vetri del nostro edificio come se si piegassero. Dall’altoparlante interno del nostro edificio ci rassicurarono. O, meglio, provarono a rassicurarci: parlavano di un bimotore finito contro quel palazzo. Lo aveva detto anche la Cnn. Ma un aereo così piccolo non poteva aver causato un danno così grande”.
Le immagini, nel frattempo, fanno il giro del mondo. In Italia sono passate le 15: un uomo, a Roma, sta guardando l’edizione straordinaria di chissà quale tg. Squilla il telefono, risponde. È la voce di Michele: “Papà – gli dice – sto bene”. Ma proprio mentre i due provano a raccogliere le idee per comporre un ragionamento sensato, pur avendo negli occhi quelle immagini, un secondo aereo si schianta sull’altra torre.
Poi il secondo aereo: “Vidi detriti cadere dalla Torre Nord. Fin quando mi accorsi che erano, in realtà, dei corpi”
“Non appena la coltre di fumo dalla Torre Nord iniziò a diradarsi, cominciai a vedere lapilli incandescenti e detriti cadere giù. Alcuni di questi non potevano essere semplici detriti, erano infatti corpi. Infine… questa donna. Aveva i capelli neri. La vidi affacciarsi per poi gettarsi nel vuoto. Non potevo credere a ciò che avevo appena visto”. Al diavolo il telefono, Michele deve portare a casa la pelle. “Michele! Michele! Michele!“, urla l’uomo al telefono.
Quanto tempo si impiega per scendere trentacinque piani a piedi? Qualunque durata temporale vi venga in mente, dividetela per dieci, perché tanto impiega questo ragazzo romano. Che salta letteralmente di piano in piano. Balzi tra un pianerottolo e l’altro, fino a rompersi un piede. Chissene… Lui non sente neanche il dolore. Una volta in strada, le persone sembrano palline impazzite di un flipper ancora più folle. Cercano di entrare nei negozi. Non per rubare, non sono sciacalli. Cercano di raggiungere i telefoni.
“Temevo un terzo aereo. Dovevo lasciare l’area. Iniziai a correre senza ancora accorgermi del piede rotto, guardandomi bene dall’utilizzo della metropolitana. All’altezza di Union Square però cedetti e salii. La prima persona che incrociai era un uomo sporco e ferito. Forse anch’io avevo quell’aspetto. Una volta a casa, nell’Upper East Side, in tv vidi ‘da fuori’ ciò che era successo”.
Come se la tv bastasse. Come se fossero sufficienti le immagini. Dicevamo dei sensi. “Il vento che girava da Sud riportò un odore tremendo di acciaio e materiale fuso. Quel giorno mi entrò nelle narici. Per non uscirne più”.
Michele Petragnani Cencarelli ha cercato di raccontare tutto attraverso un romanzo
Nel 2021, a vent’anni da quel martedì, Michele Petragnani Ciancarelli ha pubblicato un libro dal titolo “Il fantasma della mia libertà“. Per raccontare, attraverso l’artificio narrativo, ciò che ha vissuto a New York. Ma anche per cercare di spiegare cosa sia il disturbo da stress post traumatico (PTSD) vissuto dopo i fatti dell’11 settembre.
“Nel libro, la protagonista incontra un senzatetto reduce dalla guerra in Vietnam. Perché, per spiegarmi cosa fosse il PTSD, i medici usarono proprio l’analogia dei reduci di guerra. Flash-back e allucinazioni multisensoriali arrivano in maniera violenta durante le attività di tutti i giorni. Qualcosa di distruttivo. Realizzare questo libro è stato per me come chiudere un cerchio. Scrivere è stata davvero una ‘terapia del dolore’, come dicono gli esperti. E, in effetti, da un po’ di tempo vivo questi anniversari in modo un po’ più sereno, compiuto. Il libro, intanto, è andato bene e potrebbe anche avere una trasposizione cinematografica“.
Michele ha aspettato vent’anni per scriverlo perché non sapeva in quale modo farlo e “ho deciso che la veste narrativa fosse quella ideale. Ho scelto allora una spy story, un thriller psicologico”. Resta il fantasma. Resta quel maledetto martedì mattina in cui tutto doveva succedere ed è purtroppo successo. Ventidue anni non bastano per scacciare un fantasma.
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