Massimo Ferrero rivela in esclusiva a Tag24 i retroscena della lavorazione di Mery per sempre, pellicola di Marco Risi che raccontò lo spaccato sociale delle carceri italiane, in grande anticipo rispetto a fenomeni del momento come Mare fuori che Ferrero dice chiaramente: “Non si è inventato niente“.

Massimo Ferrero su Mery per sempre e Mare fuori: “Tutti copiano tutto” | ESCLUSIVA

Parlare con Massimo Ferrero è una fonte inesauribile di aneddoti, curiosità e dietro le quinte inattesi e imprevedibili. A volte anche inconfessabili o messi a tacere per anni, che ritrovano la luce grazie al suo atteggiamento verso la vita, quel chi se ne importa che gli ha permesso di diventare uno dei volti più noti del mondo del cinema e del calcio italiani.

Dopo le rivelazioni della sua esperienza nello sport, tra l’idea di Cassano come DS alla Sampdoria e l’acquisto della A.S. Roma nel 2020 sfumato a favore dei Friedkin, attuali proprietari del club giallorosso, è ora la volta di aprire il baule contenente le sue vicissitudini cinematografiche. E Massimo Ferrero lo fa parlando di uno dei suoi successi più importanti, quel Mery per sempre diretto da Marco Risi e rimasto, ancora oggi, una delle pellicole più importanti del cinema italiano degli anni Ottanta e Novanta.

Lo spunto viene dal grande successo della serie Mare fuori, ambientato in un carcere minorile proprio come il film di Risi del 1989. Un successo che, secondo Ferrero, deve tutto, o quasi, proprio a Mery per sempre. “Il problema vero non è Mare fuori o Mery per sempre, ma è che tutti copiano tutto“, dice, per poi spiegare che “come la moda, Mare fuori ha indovinato un momento importante, ma non si è inventato niente, perché noi lo avevamo fatto nel 1987“.

Il produttore si dice, comunque, contento dei risultati raggiunti dalla serie tv, rivolta a un pubblico giovane e con giovani attori protagonisti: “Mare fuori non si è inventato niente ma quando un film va bene e dei ragazzi vengono scoperti e nasce una nuova generazione, io sono felice“.

La lavorazione del cult di Marco Risi: “Non avevamo una lira”

La lavorazione di Mery per sempre fu un’odissea figlia di quell’avventurismo tipico del cinema del passato, che oggi si è un po’ perso. “Marco Risi ed io eravamo disperati“, ricorda Ferrero che ringrazia il destino per essere riuscito a fare comunque il film e per il successo che ha ottenuto: “Come si dice: ‘la fortuna aiuta gli audaci’“.

Ma come nasce Mery per sempre? La storia di un insegnante di Milano (Michele Placido), trasferito a Palermo per insegnare in un riformatorio, e dei ragazzi che incontra nel carcere minorile, arriva a Ferrero grazie a un fatto di cronaca, letto per caso su un settimanale. “Lessi un articolo su ‘Panorama’ – ricorda Ferrero – riguardante il litigio al carcere minorile ‘Malaspina’ di Palermo tra il direttore e un insegnante del carcere, in merito a uno dei ragazzi. Allora sono andato lì, e così è nato il film“.

Tutto facile allora? Nemmeno per sogno. Perché per fare cinema servono soldi, tanti, sebbene oggi molti produttori italiani sembrino ignorare questa premessa fondamentale, e per quel film non ce n’erano. “Non avevamo una lira“, dichiara caustico il produttore cinematografico. Ma questo non voleva dire che il film non si sarebbe fatto, anzi.

Mery per sempre e la difficile ricerca dell’interprete… di Mery

Il lavoro su Mery per sempre inizia, malgrado le difficoltà e i soldi che non ci sono.

Io, Massimo Spano, che era un architetto, Marco Risi e Michele Placido – prosegue Ferrero – saliamo su un aereo a spese nostre e andiamo a dormire a Mondello, senza avere nemmeno i soldi per il conto dell’albergo. E cominciamo a lavorare al film, a fare i provini con tutti attori presi dalla strada“.

Tra questi, il ruolo più delicato, anche solo perché dà il titolo al film, è quello di Mery, giovane transessuale nell’Italia degli anni Ottanta, detestato da suo padre e dedito alla prostituzione per guadagnare qualche soldo, che finisce in carcere per aver ferito un suo cliente. “Il dramma di questo film era proprio Mery“, ricorda sconsolato Ferrero in merito alla difficilissima ricerca dell’attrice per la parte. “Marco [Risi] e io abbiamo girato tutta Italia per trovare Mery negli ambienti omosessuali, ma niente“.

Ma poi, è proprio il destino a intervenire, durante un normale sabato mattina a via del Corso a Roma. “Eravamo disperati quando vedemmo, fuori dalla porta di un parrucchiere, una ragazza uscita fuori a fumare. Marco e io la guardiamo e capiamo che è lei Mery“.

Tutto risolto? Niente affatto! Perché la ragazza (Alessandra Di Sanzo) è difficile da convincere, non si fida e non vuole lasciare un posto di lavoro sicuro per quello che sembra, sotto tutti gli aspetti, una presa in giro. “La seguimmo dentro il negozio – racconta Ferrero – ed è stata una lotta per convincerla perché non credeva fosse vero. La dovemmo convincere“.

Ferrero e il cinema italiano di oggi: “Poca professionalità, oggi i produttori non esistono più”

Quando racconta il cinema del passato, il ‘suo’ cinema, a Massimo Ferrero si illuminano gli occhi e viene travolto da un’esuberanza travolgente. Tuttavia, se gli si chiede un commento sulla situazione attuale del cinema in Italia, sembra più dubbioso, quasi rattristato. Soprattutto se si parla del suo mestiere, quello di produttore, degenerato al punto da non esser più riconoscibile.

Oggi il produttore non esiste“, dice senza giri di parole, per poi spiegare: “Oggi esiste una persona che ha una sceneggiatura che la passa a un ‘amico di un amico’ che la fa arrivare magari in Rai che paga il prodotto. Lui, alla fine, figura come produttore ma non lo è, perché in realtà è la Rai che produce il film. In passato, invece, era un mestiere divertente perché prima venivano le cambiali e poi bisognava mettere i soldi veri. Soldi che riprendevi se il prodotto andava bene. Quello sì era fare il produttore“.
Un destino comune a tante altre cose, come il giornalismo, o la tv: “Nel giornalismo non c’erano i ‘pennivendoli’, la televisione ti raccontava qualcosa di importante, oggi è vuota“.

Una professione, quella di produttore, che richiedeva anche un rischio in prima persona, a volte anche di natura… fisica.

Io ho fatto carriera nel cinema perché la testa non mi ha mai aiutato e, per amore del cinema, ho girato, rischiando la vita, nei quartieri peggiori d’Italia“, racconta Ferrero che ricorda una volta in cui, per un film, si trovò a girare in uno dei quartieri ‘difficili’ di Palermo. “Arrivò il ‘padrino’ del posto e io ci feci proprio a botte, come si faceva una volta“, ammette, senza celare un certo divertimento mentre racconta l’aneddoto. “Io sono per l’onestà e per il lavoro, non per la prepotenza – continua – non potevo sottostare ai ricatti di un malvivente che mi chiedeva 30-40 milioni per girare. Gli dissi che, se i suoi uomini si fossero messi a disposizione per lavorare nel film, avrebbe avuto i soldi, altrimenti no“.

Un’esperienza difficile come molte altre, ma che ha lasciato ricordi che, visti a distanza di anni, non possono che essere positivi. “Oggi devo ringraziare la città di Palermo e quelle persone con cui, poi, abbiamo lavorato, e che ci raccontavano che quei soldi, dopo, li mandavano agli amici rinchiusi al carcere dell’Ucciardone“.

Storie di un cinema che non c’è più, di cui restano, almeno e per fortuna, i ricordi di chi l’ha vissuto, e le immagini dei film cui ha dato vita. Bellissimi e indispensabili, come Mery per sempre.