Pensioni e aumenti aumenti degli stipendi sono le priorità da centrare nella legge di Bilancio 2024. L’agenda del governo prevede interventi mirati a favore soprattutto delle fasce deboli della popolazione e dei lavoratori. A ribadirlo, a più riprese, è stata la stessa presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, che ha richiamato la maggioranza alla compattezza sugli obiettivi della Manovra 2024. Matteo Salvini della Lega e Antonio Tajani di Forza Italia finora sono stati al gioco, ma è verosimile che attaccheranno per mantenere le promesse fatte in campagna elettorale ai propri votanti.
Quasi certamente, nella legge di Bilancio 2024 non ci sarà spazio per la quota 41 per tutti, misura promessa dal leader del Carroccio fino a un anno fa. E nemmeno una versione “light” della quota 41, cioè quella che prevede il ricalcolo contributivo della futura pensione, ha trovato consensi nella maggioranza. Forza Italia, invece, si batte soprattutto per l’aumento delle pensioni minime, da far arrivare al traguardo dei 1.000 euro mensili. Tuttavia, quel che il governo potrà fare nell’ambito delle pensioni sarà un ritocco di qualche decina di euro, non di più.
A parte le pensioni e il taglio del cuneo fiscale per aumentare gli stipendi, con la conferma dello sconto contributivo del 6% e del 7% per le retribuzioni fino a 35mila euro (e spesa statale di 9-10 miliardi di euro), il governo farà di tutto per liberarsi della zavorra del superbonus e dei crediti d’imposta che stanno continuando ad aumentare, andando a peggiorare la situazione dei conti pubblici.
Pensioni e aumenti stipendi le priorità nella legge di Bilancio 2024, ecco le novità nell’agenda del governo
Pensioni e aumento degli stipendi saranno le vere priorità del governo nell’adozione della legge di Bilancio 2024. Sulle pensioni, molta della spesa riguarderà il sistema di indicizzazione degli assegni al tasso di inflazione che l’Istat comunicherà a fine novembre. Si attende una percentuale intorno al 6%, tutto sommato non troppo inferiore a quella dello scorso anno. Serviranno molte risorse, dunque, per adeguare le pensioni di chi sia già uscito dal lavoro, ragione per la quale, sui canali di prepensionamento, si potrà fare ben poco. La riforma dell’opzione donna riguarderà l’eliminazione dei paletti che sono stati introdotti nella scorsa Manovra (l’essere disoccupate, caregiver o invalide per accedere alla pensione, oltre ai requisiti di età e di contributi), ma sarà difficile tornare ai 58 e 59 anni di età di uscita anticipata unitamente ai 35 anni di contributi.
Per il resto, il governo dovrebbe agire su chi svolga lavori gravosi, mediante l’inclusione di nuove categorie all’Ape sociale, con uscita assistita a 63 anni di età e assegno standard fino alla pensione di vecchiaia dei 67 anni. Ma, dal governo, arriva l’imperativo di occuparsi delle pensioni dei giovani, penalizzati soprattutto dai buchi contributivi conseguenti alla mancanza e alla precarietà del lavoro degli ultimi decenni, oltre che dell’andamento demografico.
Superbonus e bonus edilizi, verso lo stop alla cessione dei crediti
Sul fronte dei bonus edilizi, il governo dovrebbe virare verso il superamento del superbonus, misura di lavori di ristrutturazioni e di efficientamento energetico che ha prodotto una spesa di 85 miliardi di euro fino ad ora e crediti d’imposta da smaltire. Molto dipenderà dai meccanismi di contabilizzazione e di classificazione nel Bilancio dello Stato dei crediti d’imposta e delle compensazioni.
Quella che doveva essere una misura temporanea e provvisoria degli interventi agevolati, ha continuato a crescere. I conti del 2023 rischiano di andare in sofferenza soprattutto per le previsioni sul disavanzo del 2023. Se l’Eurostat dovesse confermare il metodo di contabilizzazione attuale, il disavanzo rischierebbe di toccare il 5%. Nel dettaglio, l’Eurostat dovrebbe confermare il criterio che carica il deficit su un anno, non spalmando il disavanzo dei crediti d’imposta sul futuro.
In altre parole, il metodo prevede di considerare “pagabili” i crediti d’imposta generati dal superbonus interamente nell’anno in cui sorge l’agevolazione. Questo metodo di riclassificazione farebbe concentrare il nuovo disavanzo del superbonus nell’anno 2023, evitando di caricare il deficit pro-quota nei prossimi anni, con ulteriori problemi a far quadrare i conti.