Quanto dura la maternità obbligatoria in Italia? La maternità obbligatoria è una misura che nasce in favore delle neomamme lavoratrici dipendenti e che impone loro di astenersi dal lavoro per un periodo stabilito.

Durante tutto questo periodo comunque le madri ricevono un’indennità pari all’80% della retribuzione che è a carico dell’INPS.

A disciplinare il congedo di maternità obbligatorio per le lavoratrici dipendenti è il Testo Unico sulla maternità e paternità, il cosiddetto Decreto Legislativo del 26 Marzo 2001, n. 151.

Quanto dura la maternità obbligatoria: di cosa si tratta

La maternità obbligatoria, anche chiamata congedo di maternità, è il periodo di astensione dal lavoro, che dura 5 mesi. Questo periodo è riconosciuto alle lavoratrici dipendenti durante la gravidanza e vale anche per il periodo seguente, oltre che in caso di adozione o affidamento di minori.

Durante la maternità obbligatoria per il datore di lavoro c’è il divieto di adibire al lavoro le donne. Si tratta inoltre anche di un diritto indisponibile per la lavoratrice. Ciò significa che in nessun caso l’astensione può essere oggetto di rinuncia, neppure davanti ad una comprovata certificazione medica attestante le condizioni di buona salute della lavoratrice.

In alcuni casi le madri possono scegliere di lavorare durante l’ottavo mese e il nono mese di gravidanza e di usufruire del congedo di 5 mesi esclusivamente dopo il parto.

Ecco le opzioni tra le quali le mamme possono scegliere:

  • Congedo di maternità ordinario: il congedo inizia 2 mesi prima della data presunta del parto e continua 3 mesi dopo;
  • Congedo di maternità flessibile: il congedo inizia 1 mese prima della data presunta del parto e continua 4 mesi dopo. Questa tipologia di maternità deve essere autorizzata dal medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale e dal medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro.
  • Opzione di fruizione dei 5 mesi: il congedo inizia dopo il parto e continua per i successivi cinque mesi. Questa opzione è introdotta dalla Legge di Bilancio del 2019. Anche in questo caso il medico specialista del Servizio Sanitario Nazionale e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro devono attestare che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
  • Maternità anticipata: il congedo può iniziare prima del periodo di maternità obbligatoria. Questo accade nel momento in cui è disposta l’interdizione anticipata su disposizione dell’Azienda Sanitaria Locale, in caso di gravidanza a rischio, oppure dell’Ispettorato territoriale del lavoro o se le mansioni sono incompatibili con la gravidanza.

In caso di parto gemellare, la durata del congedo di maternità non varia. Infine, è importante ricordare che la data del parto è un giorno a sé rispetto al periodo di congedo. Verrà infatti aggiunta ai consueti 5 mesi.

La Legge tutela anche dei casi particolari in cui la durata della maternità può variare dalle regole generali.

Un primo cambiamento può avvenire in caso di ricovero del neonato. Per questa ragione infatti la madre può sospendere anche parzialmente il congedo successivo al parto, secondo l’articolo 16 bis, comma 1 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (TU), e riprendere l’attività lavorativa. In questo modo la madre userà il periodo di congedo residuo a partire dalle dimissioni del bambino.

La maternità inoltre varia anche in caso di adozione o affidamento e in caso di interruzione di gravidanza dopo 180 giorni dall’inizio della gestazione o di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità.

Quali sono le categorie che possono usufruire del congedo

La maternità obbligatoria spetta alle lavoratrici:

  • dipendenti assicurate all’INPS, comprese le lavoratrici assicurate ex IPSEMA;
  •  apprendiste, operaie, impiegate, dirigenti con un rapporto di lavoro in corso all’inizio del congedo;
  • disoccupate o sospese, secondo quanto previsto dall’articolo 24 del citato Testo Unico maternità/paternità (TU);
  • lavoratrici agricole a tempo indeterminato o determinato;
  • addette ai servizi domestici e familiari (colf e badanti), secondo quanto previsto dall’articolo 62 del TU;
  • dipendenti da amministrazioni pubbliche.

Il congedo di maternità è infine riconosciuto anche alle lavoratrici iscritte alla Gestione Separata. Per molti aspetti questo caso è assimilabile alla maternità obbligatoria per le dipendenti si differenzia solo per quanto riguarda i requisiti di accesso.

Il congedo di maternità, poi, vale anche per le lavoratrici autonome. In questo caso, però, non si parla di “maternità obbligatoria” perché alla lavoratrice autonoma spetta un’indennità economica che non comporta l’obbligo di astensione dall’attività lavorativa.

Per le madri che non rientrano in nessuna di queste categorie c’è comunque la possibilità di ricevere un’indennità legata alla maternità, nel rispetto di determinati requisiti ISEE. Come ad esempio la percezione dell’assegno di maternità dei Comuni o dello Stato.