Almeno per il momento, è un lieto fine quello che riguarda la vicenda dell’adozione di un bambino di poco meno di 4 anni da parte di una coppia omogenitoriale di Trento. A riconoscere la sua validità giuridica è stato lo stesso Tribunale per i minorenni di Trento.
A presentare l’istanza, lo scorso marzo, il padre biologico del piccolo Giulio, spinto dai suoi gravi problemi di salute. A quattro mesi di distanza il collegio presieduto dal magistrato Giuseppe Sapadaro, presidente del Tribunale, si è espresso favorevolmente all’adozione da parte del genitore sociale.
In un’intervista a La Repubblica, il padre naturale del bambino si dice “più sereno” dopo il verdetto. Adesso, però, “inizia una nuova battaglia“.
Nessun software della pubblica amministrazione è organizzato per registrare certificati con i nomi di due uomini. Se il sistema legge, là dove vanno inseriti i dati dei genitori, due codici fiscali maschili, li rifiuta. Il vero cambiamento è ancora lontano.
Adozione coppia omogenitoriale a Trento, parla il padre del bambino: “Se fossi morto sarebbe rimasto orfano”
Il protagonista della vicenda, di nome Giuseppe, si racconta al quotidiano e ripercorre i momenti a tratti drammatici di una vera e propria Odissea.
Un bambino che, spiega, “per l’Italia era soltanto figlio mio”: qualora suo papà fosse morto, il piccolo “sarebbe rimasto orfano perché lo Stato non aveva voluto riconoscere Antonio, l’altro papà“. E così sono trascorsi “giorni terribili”, durante i quali Giuseppe percepiva “quanto fosse forte la discriminazione verso i nostri bambini”.
Il passo successivo, per la coppia, è stato chiedere la stepchild adoption.
Abbiamo capito che non avevamo più tempo: io sarei potuto morire anche all’improvviso. Per ottenere un riconoscimento facendo una causa ci possono volere anni. E anche per un’adozione, infatti dopo aver presentato la domanda avevamo comunque cercato di tutelare Giulio con l’aiuto di un notaio.
Anche per via della malattia di Giuseppe, le tempistiche si sono rivelate più veloci del previsto.
Il nostro avvocato, Michele Giarratano, presentando la domanda di adozione, aveva naturalmente mostrato tutte le mie cartelle cliniche per sottolineare la gravità della mia condizione. Tenerne conto, nel nostro caso, è stata la scelta giusta di un collegio che ha pensato al migliore interesse del minore. Non era scontato. Ci sono tribunali che, anche di fronte a situazioni gravissime, impiegano tre o quattro anni per una sentenza di adozione.
“Quando la giustizia funziona diventa un caso”
E così la coppia è andata avanti fino in fondo, incontrando i servizi sociali che hanno ascoltato le maestre di Giulio: il tutto con “estrema delicatezza”.
La loro filosofia è stata chiara fin dall’inizio: noi non eravamo un nucleo affettivo da mettere in discussione, piuttosto si doveva cercare la soluzione migliore nel superiore interesse del minore.
Alla fine la vicenda è divenuta di dominio pubblico, tanto che, sottolinea Giuseppe, “quando la giustizia funziona diventa un caso“. L’uomo ribadisce come sia stata quasi “questione di fortuna”, la sua, quella di incontrare “giudici che fanno gli interessi dei bambini“.
Ci vuole una legge che tuteli tutti i nostri figli. Perché non dimentichiamo che mio figlio per 4 anni è stato privato del diritto di avere un padre, nonostante ci fosse anche il nome di mio marito sul suo certificato di nascita. Quei giorni di angoscia in ospedale poi, nel timore di lasciarlo senza famiglia, non me li restituirà nessuno.