Dietro all’incidente ferroviario di Brandizzo, costato la vita a cinque persone, ci sarebbero anche errori umani. È ciò che emerge dalle prime testimonianze raccolte dagli inquirenti nell’ambito del fascicolo di inchiesta aperto dalla Procura di Ivrea per disastro ferroviario e omicidio plurimo con dolo eventuale. Sembra infatti che tra gli operai vi fosse una prassi: aggirare i divieti per finire prima i lavori ed evitare che le loro aziende pagassero pesanti penali.

La prassi per aggirare i divieti dietro l’incidente ferroviario di Brandizzo

L’escamotage utilizzato era quello di un “allarme a vista”: mentre le squadre venivano mandate a lavorare sui binari prima dell’arrivo del nulla osta per l’inizio delle operazioni, un collega restava con lo sguardo puntato lungo la ferrovia. L’obiettivo? Avvisarli nel caso in cui avesse visto un treno arrivare, in modo che loro potessero mettersi in salvo.

A parlarne è stato Antonio Veneziano, un ex collega dei cinque operai travolti e uccisi da un convoglio che viaggiava a 160 chilometri orari mentre si occupavano della manutenzione e sostituzione di alcuni binari a Brandizzo, vicino Torino. L’uomo, che ora non lavora più per la Sigifer di Borgo Vercelli, ha raccontato, prima alla stampa e poi in Procura:

È capitato più volte, andavamo sul binario per affrettare il lavoro.

Un elemento importante, su cui sarà chiamato ad esprimersi anche Antonino Laganà, fratello nonché collega di lavoro di Kevin, la più giovane delle vittime, la cui audizione – prevista per lunedì scorso – è stata rinviata a mercoledì 6 settembre.

Le telefonate da Chivasso e gli allarmi rimasti inascoltati

Ciò che è certo, per il momento, è che Antonio Massa, il dipendente di Rfi incaricato di seguire la squadra e di dare il via ai lavori dopo aver verificato che i transiti ferroviari fossero terminati, avrebbe ricevuto tre telefonate che lo informavano del passaggio di almeno due treni sulla linea interessata dalla manutenzione. A confermarlo è stata la 25enne che, dalla sala controllo di Chivasso, la sera del 30 agosto scorso si è tenuta in contatto con il collega sul posto, lanciando gli avvertimenti rimasti inascoltati.

Sentita dagli inquirenti, la giovane dipendente di Rfi ha confermato:

L’ho detto per tre volte: i lavori non dovevano cominciare perché era previsto il passaggio di un treno.

La sua versione dei fatti è supportata da alcune registrazioni finite agli atti delle indagini. Registrazioni che avrebbero catturato le conversazioni intercorse tra Massa e la 25enne. E di cui lo “scorta ditta” non si sarebbe curato. Le telecamere di sorveglianza della stazione dimostrano infatti che, benché non avesse ricevuto il via libera, avrebbe comunque inviato gli operai sul posto. Vedendoli poi morire all’arrivo del treno.

Oltre a lui risulta indagato anche il capocantiere della Sigifer, sopravvissuto alla strage, Andrea Girardin Gibin, incaricato della supervisione degli operai morti. Ieri a Vercelli si è tenuta una manifestazione sindacale in loro memoria. Si tratta di Kevin Laganà, 22 anni; Michael Zanera, 34 anni; Saverio Giuseppe Lombardo, 52 anni; Giuseppe Sorvillo, 43 anni e Giuseppe Aversa, 49 anni.

Oggi l’audizione di Rfi

Nella giornata di oggi, 5 settembre, presso le commissioni riunite Trasporti e Lavoro della Camera è prevista l’audizione dell’amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana sulle condizioni di sicurezza dei lavoratori nel settore ferroviario. Poi toccherà ai rappresentanti dei sindacati. Ciò che si cerca di capire è se, mettendo in atto tutte le procedure del caso, l’incidente potesse essere evitato. E se quindi potesse essere evitata anche la morte di cinque persone.

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