Valeria Fioravanti aveva appena 27 anni quando, lo scorso gennaio, era deceduta a Roma a causa di una meningite batterica. La perizia medica effettuata dagli esperti nell’ambito dell’inchiesta aperta dalla Procura per fare luce sulla sua morte accusa ora i sanitari di diversi nosocomi: non sarebbero stati in grado di riconoscere la malattia che aveva colpito la giovane, rinviando i sintomi da lei accusati a un banale “mal di schiena e mal di testa” e provocandone il decesso.

La perizia schock sulla morte di Valeria Fioravanti a Roma: “Meningite scambiata per mal di schiena e di testa”

La storia di Valeria, raccontata oggi da Repubblica, inizia il 25 dicembre 2022. È il giorno di Natale. La ragazza, 27 anni, finisce al campus Biomedico della Capitale per un foruncolo infiammato, una sorta di pelo incarnito sotto l’ascella destra che le dà fastidio. È un chirurgo a rimuoverglielo. E l’operazione sembra andare bene: dopo averle messo due punti, i sanitari dell’ospedale la rimandano a casa.

Pochi giorni dopo la ragazza inizia a non sentersi bene. È il 29 dicembre. Il medico che la visita al Casilino nel referto scrive:

Intensa cefalea, non risponde a tachipirina, vertigini da due giorni associate a cevricalgia.

E ipotizza che il mal di testa le sia venuto a causa di un movimento brusco, fatto, forse, mentre si lavava i capelli. La terapia è semplice: 30 milligrammi di toradol, un antifiammatorio, da assumere per 10 giorni. La giovane e la sua famiglia prendono nota, lei inizia la cura. Ma non migliora. Così, il 30 dicembre, torna in ospedale. Le sue condizioni, intanto, non fanno che peggiorare. È il 4 gennaio quando la ragazza, ormai spazientita, si reca presso un altro pronto soccorso, quello dell’ospedale San Giovanni Addolorata.

I dottori di turno la sottopongono a una tac lombo-sacrale. La diagnosi è di lombo sciatalgia. La situazione precipita. Due giorni dopo, sempre al San Giovanni qualcuno, finalmente, la sottopone a una tac cerebrale, scoprendo che è affetta da una meningite acuta in fase conclamata. Secondo la perizia medica richiesta dalla pm Eleonora Fini, la 27enne sarebbe morta (il 10 gennaio successivo) a causa di due fatali errori: il mancato riconoscimento della malattia da parte di diversi ospedali e la mancata prescrizione degli esami diagnostici necessari a definirla e curarla.

L’accusa è di omicidio colposo

Per i tre sanitari che la visitarono e che, chiaramente, sottovalutarono le sue condizioni di salute, provoncandone il decesso (se la malattia fosse stata presa in tempo, forse Valeria avrebbe potuto salvarsi), rischiano ora di essere condannati per omicidio colposo. La Procura di Roma aveva deciso di aprire un fascicolo d’inchiesta per fare luce sulla vicenda dopo che i genitori avevano parlato pubblicamente del calvario affrontato dalla giovane.

Vogliamo che qualcuno paghi per gli errori che hanno portato alla morte di Valeria,

avevano detto. Le indagini potrebbero ora essere vicine ad una svolta. La sua storia ricorda quella del 54enne morto dopo un lungo ricovero presso l’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento. L’uomo si era presentato nel nosocomio con una diagnosi di sospetto Covid ma, secondo le indagini, avrebbe dovuto essere sottoposto a delle cure cardiologiche, perché affetto da un’infezione mai diagnosticata. In 33, fra medici e infermieri, sono stati iscritti nel registro degli indagati con l’accusa di omicidio colposo. Poi, lo scorso giugno, per 28 di loro era arrivata una richiesta di archiviazione. A decidere se concedergliela o avviare nuove indagini sarà il gip.

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