Era il 3 settembre 1982. In un’Italia sempre più piagata dalla mafia il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, uomo di prima linea delle istituzioni dell’epoca, veniva assassinato – per ordine di Cosa Nostra – in quella che sarebbe diventata nota con il nome di “strage di via Carini”, morendo insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e al loro agente di scorta Domenico Russo. Nell’ultima intervista rilasciata ai media, datata 10 agosto, al giornalista Giorgio Bocca aveva detto:

Credo di aver capito la nuova regola del gioco: si uccide il potente quando avviene questa combinazione fatale, è diventato troppo pericoloso ma si può uccidere perché è isolato.

Una situazione che lo riguardava da vicino: non a caso, qualche tempo dopo, avrebbe vissuto sulla propria pelle la messa in atto della “legge” che aveva contribuito a svelare.

Omicidio di Carlo Alberto Dalla Chiesa a Palermo: la ricostruzione a 41 anni dai fatti

Dalla Chiesa era nato a Saluzzo, in provincia di Cuneo, il 27 settembre 1920. Da giovane, dopo una parentesi nell’esercito, si era iscritto alla facoltà di giurisprudenza di Bari (poi avrebbe conseguito anche quella in scienze politiche). Entrato nel corpo dei carabinieri, aveva ottenuto il suo primo incarico a San Benedetto del Tronto; poi, durante gli anni della guerra, aveva deciso di combattere al fianco della Brigata Patrioti Piceni. Finché, con la Liberazione, non venne incaricato di proteggere la sede della Presidenza del Consiglio dell’Italia liberata.

Dalla Capitale presto si spostò in Campania, dove nacque anche sua figlia Rita. Era il 1947. Negli anni trascorsi a Casoria si distinse per la man forte nella lotta contro il banditismo. Più tardi, negli anni Settanta, si sarebbe fatto notare anche per il lavoro contro il terrorismo e le Brigate Rosse. Lavoro che avrebbe portato l’allora governo, diretto da Spadolini, a nominarlo prefetto di Palermo. Era il 6 aprile 1982. Qualche mese dopo, la mafia, ritenendolo un personaggio “scomodo”, decise di sbarazzersene.

Il 10 luglio aveva sposato la sua seconda moglie, Emanuela Setti Carraro: la prima, Dora Fabbo, madre dei suoi tre figli (dopo Rita erano nati Nando e Simona) era morta di infarto nel 1978. Il 3 settembre fu assassinato. Erano da poco passate le 21 quando su via Isidoro Carini, a Palermo, alcuni uomini a bordo di una moto e una BMW affiancarono l’auto su cui il generale viaggiava in compagnia della moglie, facendo fuoco con due AK-47 e uccidendoli. Qualche giorno dopo morì, a causa delle ferite riportate, anche l’agente che li scortava con la sua auto, Domenico Russo.

Chi è stato condannato per la strage di via Carini?

Per il triplice omicidio – che presto nelle pagine di cronaca sarebbe stato chiamato con l’appellativo di “strage di via Carini” – sono stati condannati all’ergastolo i boss mafiosi Totò Riina, Bernardo Provenzano, Michele Greco, Pippo Calò, Bernardo Brusca e Nenè Geraci. Secondo la giustizia furono i mandanti. Per quanto riguarda l’esecuzione materiale del delitto, invece, sono finiti in manette in sei: Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia, Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.

Da tempo, secondo chi indagò sul caso, Dalla Chiesa era finito nel mirino di Cosa Nostra. Non a caso pochi giorni dopo l’omicidio una telefonata anonima arrivata al quotidiano “La Sicilia” aveva annunciato:

L’operazione Carlo Alberto è conclusa.

Con essa moriva uno degli uomini che avevano contribuito a cambiare per sempre le sorti del fenomeno mafioso. Gli altri, i giudici Falcone e Borsellino, lo avrebbero fatto dieci anni dopo in circostanze simili.

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