Alessandro Impagnatiello avrebbe provato ad avvelenare Giulia Tramontano e suo figlio diverse volte, prima dell’omicidio, e non solo con il veleno per topi. Stando a quanto emerge dai risultati dell’autopsia e degli esami tossicologici, avrebbe usato, infatti, anche ammoniaca e cloroformio, acquistandoli online sotto falso nome.

Giulia Tramontano avvelenata da Impagnatiello con diverse sostanze

A riportare i dettagli del folle piano del 30enne è Repubblica. Stando a quanto ricostruito nel corso delle indagini, Impagnatiello avrebbe iniziato ad architettare tutto a dicembre, un mese dopo aver scoperto che la sua compagna era incinta. Le avrebbe somministrato prima del veleno per topi, poi anche altre sostanze, tra cui l’ammoniaca e il cloroformio.

Le mischiava nell’acqua, dopo averle acquistate a nome di un certo “Andrea Valdi”: un modo per coprire la sua reale identità e pararsi nel caso in cui fosse riuscito nel suo intento, quello di mettere fine alla vita di Giulia e del bimbo che portava in grembo. A febbraio, mentre era di turno come barman nel caffè Armani di Milano in cui lavorava, dal cellulare ordinava un litro di cloroformio stabilizzato con amilene.

E doveva già averlo somministrato alla 29enne quando, lo scorso maggio, lei aveva scritto a un’amica di sentirsi come drogata e di accusare forti bruciori allo stomaco. Pochi giorni dopo sarebbe stata accoltellata di ritorno da un incontro con l’altra ragazza di Impagnatiello, la collega di lavoro con cui – all’insaputa di entrambe – lui conduceva una vita parallela. Si erano viste per discutere della questione: Giulia le aveva confessato di voler lasciare il 30enne e tornare a Napoli.

Aveva scoperto il tradimento qualche mese prima: era stata l’altra giovane ad accorgersi delle bugie raccontate loro da Impagnatiello e a parlargliene. In quell’occasione, dopo aver scoperto che Giulia non era intenzionata ad abortire (come lui sperava), avrebbe intensificato i suoi sforzi per ucciderla con il veleno.

Escluso il coinvolgimento di altre persone

Gli inquirenti sono ormai certi che non abbia avuto complici e che, a differenza di quanto si era ipotizzato in un primo momento, la madre sia completamente estranea ai fatti. E avrebbe anzi fatto tutto il possibile per cercare la 29enne quando il figlio le aveva detto che si era allontanata. Era andata a controllare anche nel box auto della coppia, ma con le chiavi che Impagnatiello le aveva fornito non era riuscita ad aprirlo. Al suo interno c’era già, allora, il cadavere della giovane.

Il possibile movente del delitto

Parlando con gli inquirenti suo fratello ha messo in luce un possibile movente del delitto. Sembra che il 30enne volesse

comprare un appartamento all’asta, ristrutturarlo e rivenderlo.

Un piano che, vista la gravidanza di Giulia e il rischio di doverle pagare gli alimenti (come già faceva per l’altro suo figlio), avrebbe potuto fallire. Ne è convinta anche la sorella della vittima, che ai carabinieri aveva raccontato come l’arrivo del piccolo Thiago

sarebbe stato d’intralcio alla sua ambizione lavorativa: voleva fare degli investimenti immobiliari e consapevole delle spese che poteva portare un bambino, non era d’accordo ad averlo.

Alla fine, vedendo che il veleno non portava ai risultati sperati, era passato al piano B. Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, avrebbe colpito la giovane con almeno 37 coltellate. Per tutto il tempo lei sarebbe rimasta cosciente: secondo l’autopsia è morta per dissanguamento. Poi avrebbe provato a disfarsi del suo corpo bruciandolo, prima nella vasca da bagno, poi nel box auto. L’avrebbe abbandonato – dopo averlo tenuto nascosto per giorni, di cui uno all’interno della sua auto, a ricerche già avviate – in un terreno poco distante dall’abitazione in cui convivevano a Senago, la scena del crimine.

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