Le due terribili storie di violenza contro le donne di queste settimane sono l’ennesima doccia fredda per il nostro Paese che, ancora una volta, si trova a dover fare i conti con la persistenza, nel suo tessuto sociale, di una cultura maschilista e misogina che non solo fatica a essere sradicata ma si trasmette anche alle nuove generazioni.
I responsabili degli stupri di Palermo e Caivano, infatti, sono tutti giovanissimi. La constatazione di un’assimilazione, in età così precoce, di questa cultura alla violenza di genere impone, allora, una seria riflessione che consideri le responsabilità che ha ogni istituzione della nostra società.
Basti pensare, ad esempio, al ruolo dei media e dei protagonisti del settore dell’informazione. Esemplificativa, in questo senso, la polemica attorno alle dichiarazioni di Andrea Giambruno, giornalista Mediaset e compagno della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il quale ha affermato che «se tu vai a ballare ai diritto di ubriacarti, ma se eviti di perdere i sensi eviti di incorrere in alcune problematiche. Anche perché, altrimenti, magari il lupo lo trovi».
Sbrollini (Iv): “Scuola, sanità ed educazione: queste le priorità di una politica che vuole combattere la violenza sulle donne”.
Le affermazioni di Giambruno raccontano, in modo equivocabile, la tendenza ancora troppo diffusa a colpevolizzare le donne vittime di violenza sessuale e, allo stesso tempo, a deresponsabilizzare il ruolo degli uomini – o meglio: dei «lupi».
I dati sulla violenza sulle donne in Italia, tuttavia, non ammettono più simili leggerezze. Da inizio anno, infatti, i femminicidi nel nostro Paese sono stati più di 70. Questo numero, spaventoso, rappresenta però solo una piccola parte del fenomeno. Molestie, stupri, violenze psicologiche e fisiche: le modalità con cui si presenta questa silenziosa strage sono infatti molte, subdole e complesse.
Di questo delicato tema la redazione di TAG24 ha parlato con Daniela Sbrollini, senatrice di Italia viva e membro della commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio.
Senatrice Sbrollini, come ha giudicato le dichiarazioni di Andrea Giambruno?
«Credo che le dichiarazioni di Giambruno siano state inappropriate e per certi aspetti inquietanti. Un conduttore televisivo dovrebbe fare attenzione alle parole, soprattutto in un momento così drammatico.
In Italia avviene almeno un femminicidio al giorno. Il numero di violenze, poi, non si riesce neanche a quantificare perché tantissime donne non denunciano, o per paura o perché non hanno un’indipendenza economica che consenta loro di allontanarsi dallo stesso contesto familiare che le opprime.
Il tema dell’emancipazione economica è, a mio giudizio, cruciale in questa battaglia. Le istituzioni hanno il dovere di assicurare alle donne tutti gli strumenti di prevenzione fondamentali ma, soprattutto, la possibilità di lavorare e di non rimanere legate ai loro aguzzini.
Per questo motivo qualche mese fa ho presentato un emendamento per l’attivazione di un reddito di libertà. Questa proposta, approvata all’unanimità, chiede al Governo di prevedere delle risorse economiche importanti proprio a supporto delle donne in difficoltà. Garantire alle vittime dei percorsi di sostentamento indipendenti è cruciale per permettere loro di uscire da situazioni di violenza».
Le parole del giornalista Giambruno smascherano una mentalità ancora diffusa? Come lavorare per un cambio di passo culturale?
«Nel nostro Paese è ancora presente cultura misogina e maschilista, anche se queste parole forse non bastano a definire il livello di arretramento culturale, civile e sociale che stiamo vivendo.
Ciò che manca è l’educazione sentimentale. Come genitori, abbiamo il dovere di investire nell’educazione emotiva dei nostri figli insegnando loro il rispetto che si deve agli altri e alle altre. Insieme alla scuola, le madri e i padri hanno un ruolo fondamentale nel prevenire la cultura della violenza.
Sono convinta serva infatti un nuovo patto di alleanza tra scuola e famiglie. Continuo a ribadire, inoltre, l’importanza dell’educazione sessuale nelle scuole per far capire alle nuove generazioni la differenza tra possesso e rispetto, tra amore e violenza.
Abbiamo il dovere di rieducare la nostra società, altrimenti perderemo due generazioni, la mia e quella successiva. Anche la mia generazione ha le sue responsabilità, avendo in parte contribuito a quella cultura dell’apparire e non dell’essere che anche i nostri figli rischia di assimilare».
Io sono una persona laica ma credo che anche la Chiesa dovrebbe essere parte di questa sfida, contribuendo a creare luoghi di aggregazione dove oggi mancano. I nativi digitali hanno una visione distorta dei confini tra realtà e virtuale. Abbiamo bisogno di luoghi fisici dove i nostri bambini possano stare insieme e integrarsi. Pensiamo al valore dello sport, strumento fondamentale di contrasto a tutte le dipendenze.
Infine, credo sia necessario instaurare un diverso rapporto con i media che devono diventare parte di questo patto di educazione. Le notizie che riguardano episodi di violenza devono essere comunicate con il giusto linguaggio».
Nel caso dello stupro di Palermo tutti i giornali hanno diffuso il fermo immagine che ritrae la giovane circondata dai suoi sette aggressori. La circolazione di questa foto può aver ulteriormente ferito la ragazza violentata?
«Sì, assolutamente. Nelle proposte emerse ieri in commissione d’inchiesta sul femminicidio abbiamo affermato la necessità di avere una mappatura di tutte le strutture dei centri antiviolenza e dei consultori che ci sono sui territori. Ma non solo: dobbiamo conoscere anche la preparazione che c’è su questo tema nelle strutture sanitarie nei presidi delle forze dell’ordine. Anche i magistrati devono essere ben formati.
Rispetto al ruolo dei media, è chiaro che bisogna stare attenti a cosa si dice. Non si può far passare il messaggio che le vittime siano responsabili della violenza subita. E qui torniamo a Giambruno. Dire che se si beve o se si mette una minigonna ci si pone in una condizione di rischio significa chiedere alla donna rinunciare alla sua libertà di soggetto femminile perché altrimenti “te la sei cercata”.
Il messaggio di solitudine lanciato dalla ragazza vittima di questo episodio mi ha colpito moltissimo. Come rappresentante delle istituzioni, il suo “mi sento sola” mi fa sentire colpevole e complice di una società che sta andando nella direzione sbagliata.
Per non parlare poi degli adulti e dei giovani che hanno cercato di reperire in rete il video della violenza. Si tratta di qualcosa di agghiacciante. La volontà di “fare gli spioni”, anche per verificare se il racconto della ragazza è veritiero o meno, lascia senza parole».
La circolazione dei video della violenza sui social impone una riflessione sull’uso di queste piattaforme?
«Assolutamente. Ho affrontato questo tema già tempo fa con il Moige e con altre associazioni che lavorano sui minori.
Già nelle scorse legislature ho presentato diverse proposte di legge per rivedere alcuni strumenti a cui i ragazzi accedono troppo facilmente. Non possiamo pensare che controllino solo i genitori che magari lavorano tutto il giorno. Anche perché il tema non è allontanare i giovani dai dispositivi tecnologici, i quali sono strumenti di grandissima opportunità, ma controllare i contenuti a cui sono esposti.
Le faccio un esempio personale. Come mamma, infatti, utilizzo una piattaforma statale pubblica, “Qustodio” per controllare che a mio figlio preadolescente non appaiano siti non adatti alla sua età. Questa limitazione è molto utile, peccato non possa essere applicata alle pubblicità. Infatti mio figlio, pur navigando in modo sicuro, è esposto al rischio di contenuti violenti o pornografici che arrivano proprio dalle inserzioni pubblicitarie.
Senatrice Sbrollini, lei in un’editoriale di oggi scrive che «la politica deve mandare un messaggio forte». Come?
«In questi anni di legislatura ho capito che le buone leggi, da sole, non bastano. Ciò che serve è la formazione dei magistrati, degli operatori sanitari, dei membri delle forze dell’ordine. Certamente abbiamo bisogno di pene esemplari ma, allo stesso tempo, dobbiamo constatare che queste non costituiscono deterrente.
Il tema della violenza sulle donne attraversa da nord a sud tutta l’Italia e riguarda famiglie ricche e famiglie povere, persone istruite e persone non.
Dobbiamo agire innanzitutto sui territori, facendo in modo che in ogni parte di Italia ci siano strutture adeguate a prevenire e contrastare la violenza sulle donne. Servono consultori e centri di aiuto.
La politica può agire mettendo risorse su ciò che considera una priorità. Se dunque i pilastri della società italiana sono la scuola e sanità è lì che devono andare le risorse. Se l’altra priorità del nostro Paese è l’educazione, si deve lavorare in modo trasversale perché tutti i bambini abbiano strutture dove fare sport e stare insieme. Purtroppo, tuttavia, non mi pare sia questa la direzione da parte del Governo.
Solo un’alleanza trasversale, fra le istituzioni nazionali e locali può permetterci di cambiare una cultura misogina e maschilista. La commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio sarà al Festival di Venezia il prossimo 8 settembre. Insieme all’associazione D.i.Re, al presidente della Biennale e ad altre istituzioni faremo sentire, in una cornice importante come quella del Festival, il nostro no alla violenza e il nostro supporto a tutte le donne che ne sono vittime».