La ThyssenKrupp di Torino e la tragedia che avvenne 16 anni fa tornano drammaticamente d’attualità dopo l’incidente ferroviario sulla linea Milano-Torino, costato la vita a cinque operai e ci ricorda come la sicurezza sul lavoro debba essere sempre un valore fondamentale di un paese civile.
La ThyssenKrupp di Torino e la tragedia che uccise sette operai
Il rogo alla ThyssenKrupp di Torino del 2007 e l’incidente ferroviario di oggi, 31 agosto 2023, sulla linea Milano-Torino, all’altezza del piccolo comune di Brandizzo.
Molte le affinità tra questi due drammi. Entrambi si sono verificati di notte, nell’oscurità; entrambi hanno visto morire degli operai, l’anello più debole della catena produttiva e industriale, eppure fondamentale per il suo funzionamento, sebbene di questo ci si dimentichi con eccessiva facilità; in entrambi, infine, le cause sono da ricercare nelle inadempienze in tema di sicurezza sul lavoro.
Sedici anni dopo, una nuova tragedia ricorda al Piemonte e all’Italia tutta che nel nostro paese si continua a morire di lavoro e sul lavoro. Lo ha ricordato anche il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, interpretando lo sgomento e la rabbia della sua comunità.
ThyssenKrupp di Torino, la ricostruzione della tragedia
L’incendio scoppiato in un capannone dell’impianto siderurgico torinese nella notte tra il 5 e il 6 dicembre del 2007, vide morire sette operai, travolti dalla furia delle fiamme e dall’inadeguatezza delle misure di sicurezza.
La struttura venne investita dalle lingue di fuoco scatenate dal funzionamento irregolare di un macchinario. Il rogo si propagò velocemente, finendo col danneggiare un tubo idraulico dal quale esce olio infiammabile. Da qui la reazione a catena letale: quella che viene descritta come una ‘nube di fiamme’ riempì l’intero capannone, colpendo tutti gli operai presenti.
Tra il 7 e il 30 dicembre moriranno le sette vittime, che qui ricordiamo:
- Antonio Schiavone
- Bruno Santino
- Rocco Marzo
- Giuseppe Demasi
- Angelo Laurino
- Rosario Rodinò
- Roberto Scola
Le testimonianze dei loro colleghi puntano il dito contro i sistemi di sicurezza non funzionanti, a causa di una carenza di investimenti dell’azienda, e gli orari massacranti cui erano sottoposte alcune delle vittime, in turno da più di 12 ore.
Il processo
La vicenda giudiziaria vede la ThyssenKrupp, indagata per il disastro, pronta a dare battaglia.
In un documento pubblicato su La Stampa, il suo amministratore delegato, Harald Espenhahn, nega i problemi della sicurezza, sostenendo che la colpa della tragedia è degli stessi operai che si sarebbero “distratti“.
Questo non basta a risparmiare a Espenhahn, nel 2016, una condanna in Cassazione a 9 anni e 8 mesi per omicidio colposo e incendio doloso, cui segue l’incarcerazione in Germania. La pena per gli altri dirigenti imputati va, invece, dai 7 anni e mezzo ai 6 anni e 3 mesi.
Condanne che, però, non placano la rabbia dei familiari delle vittime, che continuano a chiedere giustizia, per i loro cari e per tutti coloro che continuano a morire sul lavoro.
Come ha ricordato Rosina Platì, madre di Giuseppe Demasi, in occasione delle commemorazioni per il quindicesimo anniversario della strage, celebrate lo scorso anno. La Platì ha ricordato i “quindici anni di una giustizia ingiusta e priva di credibilità“, tra sentenze inefficaci e “ministri che ci avevano assicurato che avrebbero vigilato ma poi si sono limitati ad ascoltarci più per dovere istituzionale che per altro“.
“Il nostro processo avrebbe dovuto essere uno spartiacque – conclude amaramente la donna – ma ancora ogni giorno si reclama sicurezza nei luoghi lavoro“.
Parole che riecheggiano nella coscienza di un paese che oggi fa di nuovo i conti con un’altra tragedia sul lavoro, ancora una volta dovuta a misure di sicurezza inefficaci, e che si chiede quando tutto questo avrà fine.