Tra i comuni della Terra dei fuochi c’è anche Caivano, riportato al centro delle cronache in questi giorni dalla terribile violenza sessuale avvenuta ai danni di due bambine di soli 13 anni. Tra le difficoltà del territorio – dove lo Stato è assente, per utilizzare l’espressione usata dal governatore de Luca – non ci sono solo il degrado, la mancanza di servizi, lo spaccio e la presenza di organizzazioni criminali.
A Caivano e nella Terra dei Fuochi, infatti, si muore per i danni ambientali causati dal versamento e la combustione illegale di migliaia di tonnellate di rifiuti industriali smaltiti dalle mafie.
Caccioppoli: “A Caivano e in Terra dei fuochi si muore e nessuno fa niente. Dalla prossima settimana saremo di nuovo soli”
Qui, dove manca lo Stato, le attività criminali sul territorio di Caivano e nella Terra dei fuochi hanno devastato il futuro di intere generazioni. Nei 90 comuni della regione Campania coinvolti dal fenomeno – 56 in provincia di Napoli e 34 in provincia di Caserta – infatti, l’incidenza di malattie gravissime come leucemie, tumori, malformazioni congenite e altre patologie è nettamente superiore alla media nazionale. Secondo l’Istat, sono più di 3 milioni di persone sono esposte ai gravissimi rischi alla salute causati dallo smaltimento e dal rogo illegale di rifiuti.
In questi giorni, in cui Caivano è tornata al centro delle cronache dopo la violenza sessuale operata da minorenni ai danni di due 13enni, è allora giusto tornare a parlare di Terra dei Fuochi, dando voce a chi sta dedicando la sua vita a denunciare l’ingiustizia cui i cittadini sono condannati da più di 30 anni.
Un esempio, in questo senso, è Marzia Caccioppoli, fondatrice insieme ad altre mamme dell’associazione di Caivano “Noi Genitori di tutti” che lotta per tutti i bambini le cui vite sono state spezzate dal cancro «in una terra scempiata dallo smaltimento illegale di rifiuti industriali». Battaglia, questa, che Marzia Caccioppoli racconta oggi in questa intervista a TAG24.
Marzia Caccioppoli, ci può raccontare come nasce la vostra associazione?
«La nostra associazione nasce nel dicembre del 2013 dal grido di dolore di madri che hanno perso i figli per malattie oncologiche legate allo smaltimento illegale dei rifiuti tossici nella Terra dei fuochi.
In quell’anno, grazie a una intuizione di padre Maurizio e del nostro fotoreporter Mauro Pagnano inviammo delle cartoline in tutta Italia, e anche all’estero. In questo modo riuscimmo a far arrivare la nostra voce al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Da lì furono desecretati gli atti del pentito Schiavone che accertavano lo svuotamento di rifiuti tossici in Campania.
Con la nostra battaglia siamo riusciti a ottenere, nel 2015, la legge sugli ecoreati. Per noi questo risultato è stato una grande vittoria, ma anche un grande sacrificio. Scendere in piazza con le fotografie dei nostri bambini, mettendo in piazza i loro volti, non è stato semplice. In molti ci hanno supportato ma in tanti hanno negato il nesso di causalità tra i rifiuti tossici e la morte dei nostri figli.
Solo due anni fa abbiamo ottenuto il riconoscimento di questa correlazione. Solo due anni fa è stato detto “sì, in questi comuni si muore per patologie oncologiche più che altrove”.
A Caivano ci sono più infezioni che vanno curate: qui manca lo studio, mancano le possibilità per i giovani, manca tutto. Parco verde è diventato un ghetto”.
Dal 2015 sono state fatte bonifiche del territorio?
«Le bonifiche purtroppo sono dispendiose. Per questo siamo ancora lontani mille miglia dall’obiettivo. I luoghi qui sono stati censiti grazie all’ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa che è sempre stato al nostro fianco. Proprio lui tra l’altro ha scritto un altro disegno di legge da associare alla legge sugli ecoreati. Speriamo tanto che questa proposta “Terra mia” sia approvata. Bisogna trovare una soluzione per bonificare i territori non solo campani, ma di tutta l’Italia».
Purtroppo, nel frattempo, nella Terra dei fuochi ancora si muore.
«Si: qui, dai più giovani ai più anziani, è pieno di malati oncologici. Io sento tutto questo sulla mia carne viva perché l’ho vissuto con mio figlio. Io avevo solo Antonio, che avrà dieci anni per sempre.
Tra le madri fondatrici dell’associazione io sono l’unica che aveva un solo bambino. Dalla sua morte sto dedicando ogni attimo della mia esistenza ai bambini. Cerco di godere del miracolo della vita, perché così ho promesso a mio figlio Antonio, ma è davvero difficile».
Ci descrive il contesto in cui nasce lo stupro dei giorni scorsi?
«Quando arrivano notizie come quella dei giorni scorsi è una sconfitta. Vivendo qui sai che servono istituzioni, assistenti sociali, programmi di educazione civica. Se ad un bambino viene lasciata chiusa la porta della cultura, dell’arte, della storia, ma come potrà sapersi comportare? Se non si fa vedere ai bambini la bellezza, se non li si aiuta a scoprire il potenziale che hanno, quali speranze possono esserci?
Mio figlio Antonio a tre anni parlava inglese e suonava la batteria. A 10 aveva la chitarra elettrica. Questo perché io e mio marito lo seguivamo, gli offrivamo uno zaino ricco di contenuti. Ma tanti ragazzi non hanno nessuno. Con i social, poi, si trovano davanti a contenuti pornografici che non riescono a gestire con consapevolezza.
Qui serve legalità, ci sono troppi pusher di 10 anni che spacciano per bisogno economico. Ci si deve rendere conto della povertà che c’è. A Parco verde doveva sorgere un centro per i ragazzi come a Scampia, dove una palestra ha aiutato tanti a riscattarsi. Invece non c’è niente di niente, nessuna opportunità per i nostri giovani.
Io sto dedicando la mia vita a questo obiettivo. Quando un giovane mi chiama “mamma Marzia” e mi racconta di essere riuscito a trovare un lavoro sento di aver fatto qualcosa anche per mio figlio. Ma io ho solo due braccia e due gambe, ho bisogno di forza. Posso portare la mia voce, la mia testimonianza, ma c’è bisogno dello Stato, di medici che facciano prevenzione.
Noi qui abbiamo lottato dal basso per ottenere lo studio epidemiologico Veritas sul plasma portato avanti dal dottor Antonio Giordano, direttore e fondatore dell’Istituto Sbarro di Philpadelphia. È grazie a lui se abbiamo potuto far vedere come nella Terra dei fuochi siamo pieni di metalli che portano a mutazioni genetiche, sviluppo neoplastico, malformazioni dei feti, infertilità».
Quanto coraggio ci vuole per denunciare i crimini che hanno portato a questo disastro?
«Ce ne vuole tanto, anche se io la mia paura più forte l’ho avuta il 2 giugno del 2013, quando mio figlio se ne è andato. Quel giorno ho avuto paura che mi scoppiasse il cuore, un dolore indescrivibile. Quando si perde un figlio è come se cascasse il cielo in terra, tutto diventa confusione, non c’è accettazione.
Ricordo che mentre trasportavano il feretro di mio figlio mi passò vicino una signore che disse “Dio, dai tanta forza a questa mamma”. Tra me e me pensai “sì, servirà tanta forza a quella mamma”. Non avevo realizzato che la madre ero io.
I dolori che ha affrontato mio figlio non posso dimenticarli. Prenderei questi camorristi mafiosi uno per uno.
Il governatore De Luca propone di militarizzare Caivano.
«Qua non serve militarizzare. I militari non possono fare gli psicologi o gli assistenti sociali, non possono accompagnare passo passo le famiglie. Domani arriverà la presidente Meloni, che poi se ne andrà. E così, dalla settimana prossima, saremo di nuovo soli, i soliti che sono in parrocchia con padre Maurizio».
Anche la sanità è assente a Caivano?
«Non parliamo della sanità campana. Con i tagli fatti non ci sono più medici, infermieri, non c’è più personale sanitario. La nostra nazione sembra sotto incantesimo, non reagisce. L’Italia dovrebbe appendersi sul petto una targa con scritto “adulterio per il suo popolo”.
Abbiamo uno Stato che ci prende in giro, che non tutela i suoi figli. Tutto quello che dobbiamo fare è produrre, anche se non c’è equità nazionale.
Dove sono i fondi per la sanità in Campania? Sono stati diminuiti perché siamo la regione più giovane. Se contassero i casi oncologici, tuttavia, la situazione sarebbe ben diversa. Come è possibile non rendersi conto della situazione e mettere in campo le risorse per studiare le patologie che sono più frequenti del resto di Italia?»
Che iniziative avete in programma per continuare a far sentire la vostra voce?
«Dall’8 al 10 settembre ci sarà il nostro Festival nel Real Sito di Carditello per denunciare a livello nazionale la situazione. Verranno anche i comitati di Taranto e Brescia per questa tre giorni di denuncia, ma non solo. Ci sarà musica, ci sarà dialogo, ci sarà arte.
Sino ad oggi noi abbiamo ottenuto risultati solo grazie al nostro dolore. Vogliamo giustizia. Io ho paura della parola legalità e sai perché? Perché nella parola legalità tutti hanno fatto i comodi loro e inquinato. È proprio nascondendosi dietro questa parola ci hanno ucciso. Gli imprenditori sapevano che ci stavano condannando a morte. Lo Stato colluso sapeva. Per questo io non posso accettare nessuna scusa da parte di chi, consapevolmente, ha permesso che qui arrivassero milioni di tonnellate di rifiuti tossici.
Dopo dieci anni ancora non ho avuto il coraggio di fare l’epigrafe a mio figlio. Quando la farò, tuttavia, sul marmo scriverò “vittima del biocidio in Terra dei fuochi”.
Adesso poi comincia un’altra lotta, quella contro la quarta linea dell’inceneritore obsoleto di Acerra che uccide i cittadini e compromette ancora di più la salute ambientale. Noi non ci fermeremo».