Caso Vannini, cos’è successo a Ladispoli la notte tra il 17 e il 18 Maggio 2015? Quella tragica notte portò alla morte di Marco Vannini, un giovane di 20 anni che venne raggiunto da un colpo di pistola mentre si trovava a casa della sua fidanzata, Martina.

Tutto è accaduto intorno le 23 della sera del 17 Maggio quando Marco si trovava a casa Ciontoli e si stava facendo una doccia ed improvvisamente Antonio Ciontoli, padre della ragazza entrò in bagno per prendere due pistole che conservava in una scarpiera.

Marco, come raccontato dallo stesso Antonio, fin da subito si mostra interessato a queste armi così, forse per gioco, l’uomo fa partire un colpo che colpisce e ferisce Vannini all’altezza di un braccio.

Dopo 40 minuti dal ferimento del giovane arriva la prima chiamata al 118. La voce che si sente al telefono è quella di Federico Ciontoli, figlio di Antonio e fratello di Martina che racconta all’operatore di un ragazzo che ha avuto un mancamento a causa di uno scherzo. Subito dopo la chiamata vien interrotta dalla madre che afferma che richiamerà in caso di bisogno.

Pochi minuti dopo la mezzanotte al 118 arriva un’altra telefonata, questa volta a parlare è proprio Antonio Ciontoli che riferisce di un ragazzo che si è ferito nella vasca da bagno con la punta di un pettine. L’operatrice sente però in sottofondo i lamenti e le urla dello stesso Marco.

Dalla ricostruzione di quella notte risulta che poco dopo l’arrivo dei soccorsi, per la prima volta Antonio Ciontoli parla di un colpo di arma da fuoco esploso per caso.

In soccorso al giovane viene allertato anche l’elicottero per trasportare Vannini al Policlinico Gemelli il prima possibile. Il mezzo si dovrà fermare ben due volte a causa dell’aggravarsi delle condizioni del giovane. Marco purtroppo morirà poco dopo le 3 del mattino del 18 Maggio.

Caso Vannini cos’è successo: 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale

Ad Aprile 2018 la corte d’assise di Roma condanna Antonio Ciontoli con l’accusa di omicidio volontario con dolo eventuale a 14 anni di reclusione. Il giudice infligge poi 3 anni alla moglie e ai due figli, Federico e Martina, per omicidio colposo. 

Gli anni di reclusione verranno però presto diminuiti quando il 29 Gennaio, in appello anche Ciontoli viene ritenuto responsabile di omicidio colposo. La sua pena passa così da 14 a 5 anni di carcere. Confermata invece la pena a 3 anni per i suoi familiari.

La famiglia di Marco non si è però mai arresa. Dopo la condanna dei Ciontoli infatti hanno deciso di ricorre in Cassazione per sostenere la tesi dell’omicidio volontario con dolo eventuale.

A Febbraio 2020 la Cassazione annulla così la sentenza d’appello. I magistrati scrivono che la morte di Vannini “sopraggiunse come conseguenza sia delle lesioni causate dal colpo di pistola sia dalla mancanza di soccorsi che se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato la morte di Marco”.

Negli atti del processo inoltre si legge che tutti gli imputati tennero “una condotta omissiva dopo l’esplosione di un colpo di pistola, ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, che rimase inerte e disse il falso ostacolando i soccorsi”.

Dopo il ferimento di Vannini, quindi tutti i membri della famiglia Ciontoli, a vario titolo, “presero parte alla gestione delle conseguenze dell’incidente. Si informarono su quanto accaduto, recuperarono la pistola, rinvennero il bossolo, eliminarono le macchie di sangue e solo dopo chiamarono composero una prima volta i soccorsi”.

Saveriano sostiene che:

“Questo processo sia stato sostenuto da menzogne e bugie messe in atto dalla famiglia Ciontoli per trovare una linea comune che potesse inquinare le prove anche a costo di assistere alla morte per dissanguamento di un ragazzo di 20 anni. Tutto per evitare che si corresse il rischio che Antonio Ciontoli perdesse il posto di lavoro”.

Ad oggi la Corte d’Assise d’Appello ha condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale. E la sua famiglia a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo. 

La tesi dell’avvocato dei Ciontoli

Di diverso avviso è l’avvocato Andrea Miroli che ha fatto richiesta per il ripristino della condanna di Antonio Ciontoli per il caso Vannini. L’avvocato ha sostenuto la sua tesi cosi:

“Ciontoli non voleva che Marco morisse. Non voleva che il fidanzato di sua figlia perdesse la vita. Se si fosse confrontato con l’evento della morte del giovane non avrebbe agito così come poi ha fatto. Trovarsi in una situazione di rischio e cercare di gestirla non significa accettare l’evento morte. Adottare un comportamento sia pure biasimevole in una situazione di rischio, evidentemente mal governata, non significa che l’imputato volesse la morte di Marco. Antonio Ciontoli, così come i suoi familiari, era convinto che la lesione al braccio di Vannini provocata dal colpo d’arma da fuoco non fosse letale. Non c’è evidenza in questo processo che i Ciontoli fossero consapevoli della gravità della lesione riportata da Marco. E se non c’è consapevolezza significa che nessuno ha aderito all’evento morte”.