Non si è ancora rimarginata, per la comunità di Avetrana, in provincia di Taranto, la profonda ferita provocata dall’omicidio di Sarah Scazzi. Dai fatti sono passati 13 anni: la ragazza, quindicenne, fu uccisa il 26 agosto del 2010 dalla zia e dalla cugina, che per tempo scaricarono la colpa dell’accaduto sullo zio, Michele Misseri. Una vicenda che sconvolse l’Italia e che, per anni, ha alimentato sul territorio un vero e proprio turismo dell’orrore.

Le parole del sindaco di Avetrana a 13 anni dall’omicidio di Sarah Scazzi

La nostra comunità non ha dimenticato assolutamente quanto avvenuto tredici anni fa perché fu un fatto destabilizzante che suscitò clamore e scalpore e proiettò Avetrana alla ribalta nazionale – ha dichiarato l’attuale sindaco, Antonio Iazzi, al Corriere della Sera – […]. Il cosiddetto turismo macabro alla casa dell’orrore per fortuna non lo registriamo più. È durato quel che è durato come capita in questi casi, ma da anni è finito.

Per lungo tempo, però, ha gravato sulla piccola cittadina, tanto che – ancora oggi – c’è chi accomuna il paese alla tragedia. Un fatto irrimediabile, su cui l’Amministrazione, seguendo quanto fatto da quelle precedenti, starebbe lavorando, con l’intento di scrollare da Avetrana “la patina di un decennio fa”. In modo che ad essa vengano associati anche pensieri positivi.

La ricostruzione del delitto

Tutto iniziò il 26 agosto del 2010 quando, poco dopo le 17, la mamma di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo, si presentò negli uffici della stazione dei carabinieri per denunciare la scomparsa della figlia. Disse che era uscita attorno alle 14.30 per recarsi, a piedi, a casa della cugina Sabrina Misseri, con la quale avrebbe dovuto andare al mare. E che però non ci era mai arrivata. L’avevano cercata dappertutto, senza successo.

Gli inquirenti ipotizzarono un rapimento a scopo di riscatto. La famiglia Scazzi, però, non era economicamente agiata: perché i presunti sequestratori avrebbero dovuto scegliere proprio la ragazzina? La pista venne presto accantonata e sostituita da quella di un allontanamento volontario: si pensava che la 15enne potesse essere scappata per raggiungere altri componenti della famiglia. Perché, allora, non lasciare tracce?

La storia attirò fin da subito i giornalisti di tutta Italia, salendo alla ribalta delle cronache come nessun caso prima aveva fatto. Soprattutto quando l’aria intorno alla vicenda iniziò a cambiare. Il 29 settembre lo zio di Sarah, Michele Misseri, disse ai carabinieri di aver trovato, in un uliveto, il telefono cellulare della nipote: era spento, senza batteria e sim. Cinque giorni dopo, nel corso di un lungo interrogatorio, confessò di aver ucciso la ragazza e di aver gettato il suo corpo – dopo averne abusato sessualmente – in un pozzo poco lontano dalla sua abitazione.

Le condanne in via definitiva

Quando il cadavere fu ritrovato la mamma di Sarah lo apprese in diretta tv. Traferito in carcere, Misseri cambiò però versione: disse che quando aveva ucciso la 15enne c’era anche sua figlia, Sabrina. L’autopsia smentì la violenza. Le indagini fecero il resto: pochi giorni dopo Sabrina Misseri fu arrestata con l’accusa di omicidio volontario. Gli inquirenti sono convinti che abbia ucciso la giovane, con l’aiuto della madre, perché gelosa del rapporto che la cugina aveva stretto con l’uomo di cui si era innamorata, un certo Ivan Russo.

Entrambe sono state condannate all’ergastolo in via definitiva. Michele Misseri, di cui per tempo si parlò come di un “mostro”, ottenne 8 anni per occultamento di cadavere. Chi indagava sul caso è convinto che fosse succube della figlia e della moglie e che abbia mentito, dipengendosi come un crudele assassino, per proteggerle. Di recente ha beneficiato uno sconto di pena.