Contrariamente alle previsioni più nefaste di alcuni esperti, l’Europa sembra aver mantenuto una certa stabilità economica. Secondo le recenti statistiche rilasciate da Eurostat, nel secondo trimestre, il Prodotto interno lordo (PIL) dell’UE ha mostrato una variazione in volume pari al zero. Ma il dato preoccupante riguarda l’occupazione giovanile dei neolaureati, ovvero che nel nostro Paese di neolaureati subito occupati non ce ne sono, o se ce ne sono risultano pochissimi. E questo dato ci butta al fondo della classifica in merito a questo particolare criterio in rapporto agli altri Paesi europei.

Occupazione giovanile neolaureati in Italia: dati preoccupanti

Una delle preoccupazioni principali nell’UE riguarda l’occupabilità dei giovani laureati e diplomati. Le cifre di Eurostat del 10 agosto hanno posizionato l’Italia al fondo della classifica. Se consideriamo il 2022, solo il 65% dei giovani laureati e diplomati italiani tra i 20 e 34 anni ha trovato occupazione, una percentuale preoccupantemente bassa rispetto a paesi come Grecia e Romania.

La disoccupazione in Italia potrebbe sembrare bassa al 7,5%, ma il vero problema è la qualità dell’occupazione: contratti precari e lavori part-time che non offrono stabilità a lungo termine.

Tasso di occupazione giovanile neolaureati: il confronto europeo

A livello europeo, l’82,4% dei neolaureati ha trovato lavoro nel 2022. Questa percentuale evidenzia una crescita dell’occupazione tra i laureati del 7% dal 2014 al 2022, con una pausa dovuta alla pandemia di COVID-19. L’occupazione dei neolaureati varia da paese a paese: Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania sono in testa alla classifica, mentre l’Italia, la Grecia e la Romania occupano le ultime posizioni.

La statistica mostra che c’è stato un progressivo avvicinamento tra i tassi di occupazione maschili e femminili. Nel 2022, la differenza è scesa a solo 2 punti percentuali, la più bassa dal 2014. Questo divario è legato in parte ai differenti campi di studio scelti da uomini e donne, influenzando così le opportunità lavorative.

L’Italia e l’istruzione superiore

L’istruzione superiore è un indicatore chiave della crescita economica di un paese. L’Italia ha mostrato ritardi in questo settore, con solo il 29% dei giovani tra i 25 e 34 anni laureati nel 2020. Questa percentuale è lontana dalla media europea e dall’obiettivo del 45% stabilito per il 2030.

Crescita e recessione

Guardando al PIL e all’economia globale, si nota che grandi potenze come la Germania hanno risentito di una crescita nulla, mentre l’Olanda è entrata in recessione tecnica. Nonostante queste sfide, l’Italia mostra segni di resistenza e resilienza, in particolare nel settore industriale.

L’influenza dei settori di studio sull’occupazione

La scelta del percorso di studio gioca un ruolo cruciale nella determinazione delle opportunità lavorative di un individuo. Si osserva che esiste una disparità di genere nelle scelte accademiche, dove, ad esempio, le discipline scientifiche e tecnologiche sono più frequentate dai maschi.

Le preoccupazioni economiche

Tra le principali preoccupazioni attuali, emerge il crescente costo del carburante. Si discute sulla possibilità di intervenire sulle accise, ma la chiave potrebbe risiedere in una redistribuzione mirata delle risorse, favorendo le fasce più svantaggiate della popolazione.

Inoltre, si prevede un potenziale aumento dei tassi d’interesse da parte delle autorità monetarie. Questo, insieme ad altre questioni come la condizione del “lavoro povero“, il salario minimo e la questione del Mes, pone delle sfide significative alla stabilità economica.

In particolare, il governo si trova di fronte a scelte decisive, specialmente riguardo alla prossima Legge di Bilancio. Alcuni aspetti cruciali da considerare saranno:

  • L’introduzione di riforme per l’amministrazione pubblica.
  • Misure robuste per contrastare l’evasione fiscale.
  • La necessità di bilanciare la spesa pubblica, ponderando le diverse agevolazioni fiscali.
  • La potenziale riduzione del divario contributivo, al fine di migliorare le condizioni lavorative e sostenere il potere d’acquisto delle famiglie.

L’evoluzione di queste opzioni potrà contribuire a influire sul tasso di occupazione giovanile dei neolaureati, ma quel che serve veramente è un ponte solido e realistico tra mondo della formazione (scuola e università) e mondo del lavoro: è qui, oggi, il grande anello mancante.