L’AI potrebbe essere – o diventare – la migliore amica dell’uomo, ma di certo non del giornalista: è questo quello che emerge dalla disputa recentemente aperta dal New York Times contro OpenAI, la società fondatrice del famosissimo ChatGpt, accusata di minare al pane quotidiano degli editor, ossia il copywright.
Dopo un’iniziale stretta di mano tra il colosso dell’Intelligenza Artificiale e il giornale più comprato al mondo, pronti a collaborare nella gestione dei dati da offrire agli utenti, la relazione tra i due è rapidamente degenerata. I nodi sono venuti al pettine quando si è toccato il nervo scoperto della diretta concorrenza, quando cioè il NYT ha cominciato a temere che l’informazione non passasse più attraverso le pagine (cartacee o web) del famoso notiziario, ma solo dalle chat più immediate del competitor artificiale.
Il punto della questione poggia inevitabilmente sulla caratteristica strutturale dell’editoria: nessun giornale può esistere senza le notizie, senza i dati, senza contenuti esclusivi. Questi fondamentali pilastri dell’informazione possono essere monetizzati, come aveva tentato di fare inizialmente il NWT, ma se finiscono per essere svenduti il rischio è quello di un cortocircuito potenzialmente letale per l’editoria stessa.
Disputa tra New York Times e Open AI: dalla collaborazione al probabile contenzioso legale
Visto lo stato dei fatti, gli osservatori non escludono affatto un divorzio importante tra il NYT e OpenAI, dove, rotta l'”amicizia” iniziale, si passi a risolvere i propri screzi a colpi di avvocati nelle aule dei tribunali, proprio come accade in un matrimonio non riuscito.
Da parte della testata più famosa del globo potrebbe dunque presto arrivare la richiesta d’apertura di un contenzioso legale, in difesa del caro, vecchio e ultimamente un po’ bistrattato copyright. Infatti, se l’accesso alle informazioni non fosse correttamente regolamentato – e remunerato -, ChatGpt potrebbe tranquillamente entrare in possesso delle risorse di dati immagazzinati in tempo reale dalle più grandi testate del mondo, che il programma sarebbe in grado di diffondere spogliati della proprietà intellettuale.
L’effetto sostituzione si profila dunque imminente: occorre che le testate agiscano per evitare indesiderati furti di notizie, come spesso già accade con i cosiddetti chatbot, sempre più spesso preferiti alla lettura di un articolo perché più immediati e concisi.
OpenAI in tribunale?
Se davvero il New York Times dovesse avviare un procedimento penale, OpenAI potrebbe essere costretta a dismettere i dati utilizzati fino ad ora senza permesso e a pagare sanzioni salatissime. Di fatto però la partita non ancora chiusa. La verità è che l’informazione “tradizionale” non può chiudere la porta in faccia all’AI e alle nuove tecnologie che, volenti o nolenti, stanno rivoluzionando i metodi d’accesso ai contenuti.
Dunque che fare? Per il momento il NYT sembra valutare il terreno. Ma la vera gara tra editoria e Intelligenza Artificiale, alla ricerca dell’equilibrio sottile tra rispetto del copyright e accessibilità dei contenuti, si gioca ai piani più alti del diritto internazionale: oggi come non mai servono norme e procedure che determinino la possibilità di accedere e utilizzare i dati, da parte delle testate quanto da parte di ChatGpt. Finché tali regole non saranno definite, la competizione tra giornalisti e l’AI per il possesso dei dati è destinata a farsi sempre più aspra.