Pensioni a rischio: 3 vie d’uscita anticipate. Il governo Meloni avrà poco più di qualche mese per organizzare la rotta da tracciare per il 2024. Le misure che permettono il ritiro anticipato dal lavoro scadono alla fine del 2023. Con la riforma demolita dai salari bassi, l’aumento crescente del costo della vita e un tasso di natalità bassissimo, appare difficile sostenere anche le attuali vie d’uscita. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha spiegato che non esiste una riforma compatibile con l’invecchiamento della popolazione.
Pensioni a rischio 3 vie d’uscita anticipata
L’Italia deve puntare a cambiamenti nel settore previdenziale che includano maggiore flessibilità, minor austerità e un potere d’acquisto migliorato. Questi dovrebbero essere i temi centrali del dibattito riguardo alla previdenza. Tuttavia, la pandemia, la guerra e l’inflazione hanno pesantemente influenzato i conti pubblici, al punto che le previsioni per il 2024 del Documento di Economia e Finanza (DEF) sembrano non lasciare molto spazio alla ‘questione previdenziale’.
D’altra parte, le risorse finanziarie sono limitate e saranno orientate verso la riforma fiscale, la detassazione del tredicesimo stipendio, la riduzione delle imposte sul lavoro e l’introduzione di misure volte ad aumentare la natalità.
Forse l’estate “de Fuego” si è fatta sentire un po’ troppo o, semplicemente, sono emerse realtà sconcertanti. A partire dal 1° gennaio 2024, senza la proroga delle misure in vigore sulle pensioni, avremo solo l’austerità prevista dalla legge Fornero. Fatto sta che potremmo dover dire addio anche agli strumenti che permettono l’uscita anticipata dal lavoro, con scadenza il 31 dicembre 2023.
Non solo si presenteranno i requisiti ordinari per la pensione, ma potrebbe sfumare anche ogni tentativo di ridurre lo “scalone” così temuto negli ultimi anni, da cui sono nate misure come Quota 100, Quota 102, Quota 103 e altre come Ape sociale e Opzione donna.
Cosa cambierà per le pensioni nel 2024?
A partire dal 1° gennaio 2024 tornerà in vigore la legge Fornero in versione integrale, con la necessità di adeguare le pensioni all’aumento dell’inflazione. Senza l’introduzione di nuove misure, nel passaggio tra il 2023 e il 2024 spariranno di colpo tre misure: Quota 103, Ape sociale e Opzione donna.
I lavoratori potrebbero essere costretti a lavorare fino a raggiungere i requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età e 20 di contributi) o quella anticipata ordinaria (41 o 42 anni e 10 mesi di sola contribuzione), senza poter considerare altre opzioni pensionistiche.
Quota 103 si ferma, crollo delle richieste
Il 31 dicembre 2023 segnerà la conclusione della misura Quota 103, che richiede un’età di 62 anni e almeno 40 anni di contributi, oltre ad altre condizioni. Questa misura include un assegno pari a cinque volte l’importo minimo di trattamento, ovvero una somma di circa 2.800 euro al mese.
La misura è stata introdotta nell’ultima legge di bilancio come sostituto delle precedenti Quota 102 e Quota 100. Riguardo all’assegno corrisposto, esso equivale a cinque volte l’importo minimo di trattamento, ovvero una somma di circa 2.800 euro al mese. Dunque, migliorano le prospettive previdenziali per i nati nel 1960 – 1962.
Sempre in relazione alla scadenza del 31 dicembre, si concluderanno anche due altre misure: Opzione donna (60 anni di età e 35 di contributi) e Ape sociale (63 anni di età e 30, 32 o 36 anni di contributi in base al lavoro).
Opzione donna: ridotto l’accesso
La pensione donna non presenta più requisiti che consentano l’accesso alle donne al mondo delle pensioni. Nella legge di Bilancio 2023, i requisiti sono stati resi più rigorosi, tanto da permettere l’accesso al trattamento solo alle lavoratrici di 60 anni di età e con almeno 35 anni di contributi. Questo è possibile a condizione che soddisfino i requisiti normativi, tra cui l’appartenenza alle categorie meritevoli di tutela, come caregiver, invalidi al 74%, dipendenti o licenziate da aziende con tavolo di confronto per la gestione della crisi aziendale.
Per il 2024, non sembrerebbero esserci risorse adeguate per prorogare Opzione donna. Molte donne non hanno accettato il cambiamento dei requisiti, poiché avevano forti speranze di vedere ripristinata la precedente misura, ovvero 58 e 59 anni di età con almeno 35 anni di contributi senza ulteriori condizioni, se non un assegno calcolato integralmente con il sistema contributivo.
Purtroppo, come accade puntualmente, svanisce anche la speranza dell’introduzione di un anticipo Ape Rosa, una sorta di opzione previdenziale dedicata alle donne che non soddisfano i requisiti di Opzione donna.
In conclusione, ci si augura che il governo Meloni consideri il prezioso contributo della forza lavoro nella Manovra 2024, definendo un’uscita flessibile per coloro che desiderano pensionarsi in linea con le proprie esigenze.
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meloni si deve solo Vergognare visto che in campagna elettorale aveva promesso a noi donne la riconferma di Opzione Donna invece ha fatto l’esatto opposto. spero che cada il governo al più presto