Il periodo di comporto rappresenta il totale delle assenze per malattia accumulate da un dipendente. Tale periodo ha un tetto massimo, stabilito principalmente dai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL). Oltrepassato questo limite, il dipendente rischia di essere licenziato per “superamento del periodo di comporto“. Laddove il contratto collettivo non fornisca specifiche a riguardo, la legge fa riferimento a criteri tradizionali o equitativi.
Periodo di comporto malattia: quali assenza contano?
Non tutte le assenze sono conteggiate nel periodo di comporto. Ad esempio, assenze dovute a terapie salvavita, periodi post-partum o interruzioni di gravidanza, non vengono considerate. Inoltre, la legge stabilisce che determinate assenze non influiscono sull’anzianità retributiva del dipendente.
Superamento del periodo di comporto: le conseguenze legali
Secondo la giurisprudenza, superare il periodo di comporto può costituire una base autonoma per il licenziamento. Tuttavia, è fondamentale che questa circostanza esista prima della notifica di licenziamento. Inoltre, il licenziamento per superamento del periodo di comporto è considerato una categoria distinta, separata dalle nozioni di giusta causa o giustificato motivo.
Come si azzera il periodo di comporto?
I tempi e le modalità di azzeramento del periodo di comporto sono determinati dal CCNL. Tipicamente, possono essere necessari dai tre ai sei mesi senza assenze per malattia prima che il periodo si azzera.
Esistono principalmente due metodi per calcolare il periodo di comporto:
- Comporto secco: contabilizza solo le assenze di una specifica malattia. In pratica, il periodo si azzera alla fine di ogni episodio di malattia.
- Comporto per sommatoria: accumula tutte le assenze nel periodo definito dal contratto. Solo alla fine di tale periodo il comporto si azzera.
Per esemplificare, se si ha un comporto secco di 180 giorni e un dipendente si assenta per 175 giorni, tornando al lavoro il 176° giorno, il comporto si azzera. Nel caso del comporto per sommatoria, le assenze vengono accumulate per, ad esempio, un anno e solo al termine di questi dodici mesi si ha l’azzeramento.
Periodo di comporto malattia: quali fattori incidono sulla sua durata
La durata del periodo di comporto può variare in base a:
- Accordi collettivi o contratti individuali;
- Ruolo e responsabilità del dipendente;
- Ambiente di lavoro;
- Anni di esperienza del dipendente.
È essenziale notare che nel conteggio del periodo di comporto si includono i giorni di ferie maturati, ma non usufruiti. Al contrario, assenze per infortuni o malattie causate dall’ambiente di lavoro, tra altre specifiche circostanze, non vengono conteggiate.
Superamento del periodo di comporto malattia può portare a licenziamento: ecco quando
Il diritto del lavoratore alla tutela del proprio posto di lavoro durante i periodi di malattia è sancito dalla normativa vigente. Tuttavia, ci sono delle circostanze in cui il datore di lavoro potrebbe considerare il licenziamento a seguito di prolungate assenze dovute a malattia.
Infatti, dopo il superamento del periodo di comporto, il datore di lavoro ha la possibilità di licenziare il lavoratore. Questo licenziamento non necessita di ulteriori giustificazioni. Tuttavia, ci sono delle eccezioni, come nel caso in cui la malattia sia stata causata da condizioni lavorative insalubri.
Tutela del lavoratore durante la malattia
Il lavoratore ha il diritto di mantenere la propria posizione lavorativa durante il periodo di malattia. In generale, il licenziamento per motivi legati alla malattia è raro e può avvenire solo in due situazioni specifiche:
- Prolungata durata della malattia: quando la malattia si estende oltre il periodo massimo concesso, noto come “periodo di comporto”.
- Riduzione delle prestazioni: se la malattia causa un decremento delle prestazioni tali da arrecare un pregiudizio al datore di lavoro.
Conversione del periodo di comporto in periodo di ferie
In alcune circostanze, il lavoratore può richiedere la conversione dell’assenza per malattia in ferie, interrompendo così il periodo di comporto. Tuttavia, il datore di lavoro ha il diritto di rifiutare questa richiesta, dando priorità alle necessità aziendali.