La scalata al K2 dell’alpinista norvegese Kristin Harila aveva il profumo di record del mondo ma si è presto tramutata in tragedia con polemiche dopo la morte di uno sherpa. A quanto pare, il gruppo di alpinisti era impegnato a raggiungere la seconda vetta più alta del mondo nel minor tempo possibile, un obiettivo ambizioso che potrebbe aver condotto ad un omissione di soccorso ai danni del giovane accompagnatore.

Nello specifico si tratta di Mohammad Hassan, pakistano di 27 anni con tre figli, che aveva iniziato il percorso da sherpa solamente allo scopo di guadagnare i soldi necessari per garantire le cure a sua madre, malata di diabete. È per questo motivo che l’uomo aveva iniziato la scalata senza l’abbigliamento e gli accessori adeguati per l’impresa sul K2, oltre a non avere alcuna esperienza sul campo.

Secondo le prime ricostruzioni, ad Hassan era stato inizialmente chiesto di restare al campo base ma alle resistenze dell’uomo il viaggio era proseguito normalmente. Di lì a poco si sarebbe verificata la terribile caduta del giovane accompagnato, molto probabilmente caduto a circa 400 metri dal “Collo di bottiglia”, uno dei punti più critici dell’ascesa. Lì sarebbe rimasto a lungo, morendo di freddo senza ricevere le cure necessarie da tutto il gruppo degli scalatori che continuava l’ascesa in cerca del record.

K2, lo sherpa morto e le accuse di razzismo: “Un occidentale sarebbe stato salvato”

Ad acuire le polemiche in merito al terribile episodio sul K2 è stato un altro alpinista, Philip Flämig, che insieme al suo collega Wilhelm Steindl ha filmato la scena di Hassan attraverso un drone. Immagini difficili da digerire che hanno provocato l’indignazione di Flämig al punto da spingerlo a criticare aspramente l’episodio in un’intervista al giornale Guardian.

In quest’ultima, l’alpinista ha espresso preoccupanti dichiarazioni che hanno aperto il dibattito anche sul fronte del razzismo:

È stato curato da una persona mentre tutti gli altri hanno spinto verso la vetta. Il fatto è che non c’è stata un’operazione di soccorso organizzata. Anche se sul posto c’erano sherpa e guide alpine che sarebbero potute intervenire. Una cosa del genere sarebbe impensabile nelle Alpi. È stato trattato come un essere umano di seconda classe. Se fosse stato un occidentale, sarebbe stato soccorso immediatamente

La difesa di Kristin Harila: “Fatto tutto il possibile”

Diversa la reazione di Kristin Harila che dopo esser giunta al traguardo, felice per il record del mondo, ha quasi minimizzato l’accaduto sottolineando l’impegno di tutti nel salvare la vita del giovane sherpa. Ecco il suo commento:

Abbiamo provato a sollevarlo per un’ora e mezza e il mio cameraman è rimasto un’altra ora a prendersi cura di lui. In nessun momento è stato lasciato solo. Quando ci siamo resi conto che per Hassan c’erano tante persone e che avrebbe ricevuto più aiuto abbiamo deciso di proseguire perché troppe persone nel collo di bottiglia avrebbero reso più pericoloso il salvataggio. Credevo che avrebbe ricevuto tutto l’aiuto possibile e che sarebbe stato in grado di scendere

Non è il primo caso che vede una morte nel mondo dell’alpinismo ma certamente questo sul K2 è destinato a far discutere.

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