È stato un ultimo saluto duro, quello che i figli hanno dato a Giacomo Chiapparini, l’imprenditore agricolo di 75 anni morto schiacciato da 25mila forme di Grana Padano dopo il crollo della scaffalatura del suo magazzino di stagionatura a Bergamo. Nel corso dei funerali, tenutisi ieri a Romano di Lombardia, i due hanno letto una lettera che ha lasciato i presenti di stucco, ripercorrendo senza filtri il rapporto con il genitore che non c’è più.
Ai funerali di Giacomo Chiapparini, morto in un magazzino di Grana Padano a Bergamo, la dura lettera dei due figli
Quante volte, papà, abbiamo sperato che rallentassi la tua corsa nella vita e quindi potesse rallentare anche la nostra, così da vedere cosa c’era fuori dal finestrino. Rallentando avresti potuto vederlo anche tu, capendo cosa c’era di importante oltre la tua attività.
Inizia così la dura lettera letta al termine dei funerali di Giacomo Chiapparini – morto a 75 anni nel suo magazzino di stagionatura a Bergamo – dai due figli Mary e Tiziano, che hanno voluto salutarlo senza fargli sconti. C’è spazio per l’affetto e il dolore, nelle loro parole, ma anche per il rimpianto dei momenti che il papà avrebbe negato loro per via del suo lavoro.
Lavoro a cui si sarebbe dedicato anima e corpo, per una vita, mettendo da parte, forse senza accorgersene, tutto il resto. Ultimo di sette figli, aveva dovuto darsi da fare fin da giovanissimo, come mezzadro, aiutando il padre. Poi, nel 1977, aveva avviato la sua attività, partendo da una stalla, un trattore e 26 capi di bestiame. Capi che, negli anni, erano diventati a migliaia, mentre gli ettari di terreno coltivati erano saliti a 100.
Aveva aperto anche un caseificio e uno spaccio. Nel 2006 aveva ottenuto il marchio per la produzione del Grana Padano, arrivando a produrre oltre 270 quintali di latte al giorno e quindicimila forme di formaggio all’anno. Un successo reso possibile dal sudore e dalla fatica, oltre che dal tempo tolto alla famiglia.
Ci hai fatto crescere sempre sollecitati a dare il massimo, a fare sempre al meglio quello che sapevamo fare. Ci hai forgiato alla vita, ai fatti pesanti della vita, e ne abbiamo avuti davvero tanti,
si legge, ancora, nella lettera. Il riferimento è alla morte prematura del terzo figlio di Chiapparini, Emanuele, scomparso vent’anni fa.
“Ci amavi a modo tuo, non come gli altri padri”
Quanti scontri abbiamo avuto perché volevi sempre avere ragione tu e fare di testa tua. Ci dispiace che a noi figli tu non abbia mostrato l’amore attento e affettuoso come altri padri. Con i tuoi nipoti ti sei ammorbidito un po’ e così abbiamo capito che allo stesso modo amavi anche noi, ma sempre a modo tuo, nel tuo modo originale. Non hai mai puntato sul nostro lato sensibile perché lo faceva e lo fa la mamma. Hai puntato, invece, alla nostra tempra, per prepararci alla vita.
Poi, la fine. E il dolore per una perdita che ha lasciato un vuoto difficile da colmare.
Ci hai lasciati con le rotelle attaccate alla bici, liberi di andare ma sempre con te che ci davi sicurezza. Sei sempre stato sopra le righe e sopra le righe è stata la tua uscita di scena. La tua fragorosa e rumorosa presenza è diventata una fragorosa e rumorosa assenza.
Infine, un semplice, ultimo augurio: che dove si trovi adesso possa incontrare, finalmente, il figlio che ha perso e abbracciarlo di nuovo, anche per loro. In tanti hanno partecipato alle esequie per ricordarlo e salutarlo. La sua morte accidentale ha sconvolto tutti.