Michela Murgia, scrittrice scomparsa il 10 agosto 2023, in un’intervista del giugno scorso con Simone Marchetti, direttore di Vanity Fair, aveva parlato anche dei suoi genitori, raccontando la sua infanzia, segnata dalle azioni di un padre violento.

Michela Murgia, genitori: il padre violento

Michela Murgia ha raccontato di essere diventata da subito molto responsabile, costretta dagli eventi. Era la figlia maggiore e doveva prendersi cura anche di suoi fratello più piccolo, nato con delle fragilità:

Ero una bambina molto responsabilizzata. Ero la maggiore e i miei genitori lavoravano entrambi. Mio fratello minore è nato con delle fragilità: ha passato più tempo in ospedale che fuori, come ti giravi si era rotto un osso o ficcato un chiodo nella lingua. A nove anni avevo le chiavi di casa. Siamo cresciuti come delle bestioline felici

Tuttavia, l’infanzia della scrittrice è stata segnata da un rapporto molto difficile con il padre:

Mio padre, ovvero la persona che avrebbe dovuto prendersi cura di me, ha tradito il suo mandato. Per molto tempo non ho capito che quello era un tradimento, perché l’unico padre che conoscevo era lui. Nella vita, hai bisogno di guardarti intorno e di vedere altri padri per capire che sei stata ingannata.

Sono stata molto fortunata perché ho incontrato un altro padre, cioè mio zio, marito di mia zia Annetta. Lui e zia non hanno salvato la categoria paterna, perché ho continuato ad averne paura: nella nostra società patriarcale il modo di essere padre era quello del mio primo padre. Se fai sedere a tavola dieci donne e chiedi loro com’è stata la loro infanzia, otto ti racconteranno di un padre simile al mio. La mia esperienza che credevo eccezionale è invece molto diffusa.

Murgia ha dichiarato di non aver mai perdonato suo padre:

No, perché non si è mai pentito. Non ha mai ammesso di avermi fatto male. Ha sempre detto che avevo capito male io. Che ero io a provocarlo. Con un uomo che non accetta di fare neanche un passo verso una verità diversa dalla sua è molto difficile, e forse non necessario, dialogare. Non accetto il paternalismo di chi mi dice “ah ma è sempre tuo padre”, perché sembra una condanna a vita. Il padre è un ruolo, non è una persona. E quel ruolo, nella mia vita, l’hanno ricoperto altri uomini meglio di lui.

La fuga da casa con la madre e il fratello minore

Le azioni violente di suo padre, costrinsero sua madre a portare via da casa Michela e suo fratello, rifugiandosi a casa degli zii:

Ricordo di aver sempre pensato di scappare, ma sapevo che, se l’avessi fatto da minorenne, mio padre avrebbe trovato il modo di riportarmi a casa. La notte in cui me ne sono andata me la ricordo molto bene. Era il 26 dicembre del 1990 e avevo 18 anni e mezzo. Non era previsto, ma c’è stata una lite molto violenta in casa e mia madre ha ritenuto di mettere in sicurezza me e mio fratello: ci ha portati così come eravamo, in pigiama, a casa di mia zia.

Quella notte ho capito che non volevo tornare a casa. Mio fratello è tornato. Io mai più. Ringrazio mio padre per aver creato le condizioni di costrizione. Se ci fosse stato un limite di tollerabilità in quella situazione, io oggi sarei una persona diversa. Io sono una figlia d’anima, la famiglia queer l’ho sperimentata presto, forzatamente, e quindi ho capito che potevano esistere dei legami in grado di rispondere a logiche non del possesso tra genitori e figli.

Avere avuto più madri è stata la ricchezza di vivere le “più vite” di cui le dicevo prima. Ho avuto la possibilità di essere più donne in circostanze diverse perché sono stata messa alla prova molto presto dalla diversità di queste due donne: mia madre, più rivoluzionaria ma vincolata in casa ai rapporti violenti e tossici di mio padre, e mia zia, più conservatrice, cattolica, ministro straordinario dell’eucarestia ma anche più libera rispetto al rapporto col marito e con me. Sono grata a queste due donne, a queste due madri

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